Nell’ultimo decennio, si sono scritte tante pagine e si sono pronunciate tante parole sulla violenza contro le donne, sui femminicidi, su decine e decine di delitti che si sarebbero potuti evitare. Ogni anno si leggono cifre spaventose, statistiche funeste, la cronaca ci riporta i dettagli dell’orribile fine di centinaia di donne, i giornali commettono ancora gli stessi madornali errori, con titoli che continuano in qualche modo a far ricadere la colpa sulla vittima. Ne abbiamo lette, sentite e viste tante di cose, sempre a posteriori. Vediamo sempre la stessa dinamica: qualche giorno di rabbia e dolore, le immagini, le lacrime, le testimonianze, la narrazione di denunce che non sono servite a fermare la mano degli assassini. Qualche giorno di attenzione e poi non se ne parla più, non si va a fondo nell’analisi degli strumenti, delle responsabilità, della debolezza della prevenzione e della giustizia.

La violenza sulle donne, però, è una costante, è quotidiana e si consuma lentamente, con una pazienza sadica, spesso rimanendo soffocata in mesi, anni, decenni di vita e di silenzio, di indifferenza e di paura. Il nostro Paese se ne accorge solo quando il sangue è stato già versato. Queste ultime settimane sono state drammatiche, con delitti efferati che sono finiti dentro le cronache e subito dopo dimenticati, rimossi. Perché gli orrori sulle donne, in Italia, si dimenticano in fretta. Come fossero qualcosa che “purtroppo accade”, un male della società di fronte a cui “non si può fare nulla” se non provare a chiedere agli uomini di essere meno violenti oppure (perché accade anche questo, incredibilmente) alle donne di cambiare, di non esasperare le situazioni, i partner o gli ex incapaci (“poverini”…) di rassegnarsi. Eppure la violenza sulle donne uccide più della mafia, i femminicidi costituiscono il 41% di tutti gli omicidi commessi in Italia nel 2021 fino a questo momento, con ben 109 donne assassinate (il 9% in più dello scorso anno nello stesso periodo).

Giovanni Falcone riteneva che per combattere la mafia si dovessero prima di tutto sradicare le logiche mafiose che vivono naturalmente dentro di noi, come il desiderio di sopraffazione o di risoluzione sbrigativa dei problemi. Allo stesso modo, possiamo dire che per combattere la violenza sulle donne dovremmo innanzitutto depurarci da logiche e linguaggi che, in qualche maniera, portano a considerare “colpevole” la donna: colpevole di voler chiudere una relazione o di essere libera o semplicemente di scegliere la propria vita. Non è possibile sentire o leggere ancora parole che, nel raccontare un omicidio, descrivano l’esasperazione dell’ex partner per una relazione interrotta dalla donna, come se questa libertà di scelta fosse una colpa e giustificasse in qualche modo la reazione omicida. Si ripete sempre che il cambiamento dovrebbe essere prima di tutto culturale, ma in Italia, con le tragiche cifre di questi anni, non c’è il tempo di aspettare una evoluzione di pensiero.

In un Paese sessuofobo che mostra la donna come preda da conquistare e possedere, che utilizza un linguaggio primitivo, triviale, sessista e lo sdogana pubblicamente, un Paese che ancora celebra la donna come modello (anche nelle idee di una certa parte della politica) solo se madre e dentro la famiglia, che la giudica per la propria libertà sessuale, che la etichetta in maniera pesantemente negativa per un adulterio, laddove invece perdona bonariamente l’adultero maschio, non possiamo affatto attendere il lungo processo di mutazione culturale. Soprattutto perché poco o niente si fa per iniziare un percorso strutturato di educazione che parta dall’infanzia, dalle scuole primarie, dall’educazione delle famiglie. Allora, intanto, l’unica strada è quella di approntare strumenti efficaci, sia sul piano della prevenzione, sia su quello sociale, sia su quello della giustizia.

Per fortuna, a livello istituzionale, qualcosa (anche se molto poco) si muove. Esiste una Commissione parlamentare di inchiesta sulla violenza contro le donne, che ha appena denunciato come solo una donna su sette tra quelle assassinate nel biennio 2017-2018 (il 2018 è stato uno degli anni peggiori, con 141 vittime) aveva denunciato il suo aguzzino. La Commissione ha rilevato come le donne spesso non denunciano perché vivono in contesti nei quali opera una generale azione di dissuasione da parte di parenti e amici, così come intervengono la paura di peggiorare le cose e l’assenza di una forma di tutela, sia fisica che economica, per chi denuncia. D’altra parte, la storia di questo orribile crimine racconta spesso di assassini che erano stati già denunciati, anche più volte, per stalking e molestie. Così come spesso le donne prive di indipendenza economica, soprattutto se hanno figli, si trovano imprigionate dentro una spirale violenta dalla quale non possono uscire, per paura che i figli stessi ne possano pagare le conseguenze.

Spesso, inoltre, come segnala la Commissione d’inchiesta, le denunce vengono minimizzate, così come le segnalazioni. Le azioni violente vengono viste spesso come liti familiari che si possono ricomporre. Questo perché l’85% delle vittime, prendendo i dati del 2021, sono state assassinate in ambito familiare, quasi il 60% da un partner o da un ex. Insomma, la tanto acclamata famiglia, il tanto osannato “valore” della famiglia, in realtà, è molto spesso una trappola feroce per le donne. Le leggi esistenti, come quella sullo stalking ad esempio, non sono sufficienti ad assicurare l’inoffensività del maschio violento. Così come non bastano le risorse, troppo poche, che potrebbero permettere, alle reti presenti nei territori (e non in tutti purtroppo) di aiutare le donne a liberarsi e a mettere al sicuro se stesse e, nel caso si tratti di madri, anche i propri figli.

Il premier Draghi, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, ha affermato che la lotta a questo crimine (che miete più vittime delle organizzazioni criminali) deve essere una priorità, assicurando lo stanziamento di ulteriori risorse per aiutare le donne nel percorso di uscita da situazioni di violenza. Cinque ministre, inoltre, stanno lavorando a una nuova legge più severa e che migliori le forme di tutela per le donne che subiscono violenza. Peccato che alla Camera, quando la ministra delle Pari Opportunità, Bonetti, parlava di questo tema, i deputati presenti fossero solo 8, a dimostrazione di quanto la politica in realtà snobbi questo problema.

Ecco perché è più facile pensare che anche questa volta le buone intenzioni si areneranno nell’inerzia della politica, alla quale magari seguirà il solito trend di indifferenza, insufficienza di risorse, debolezza dei meccanismi di prevenzione, inadeguatezza di una macchina di polizia e giudiziaria che non garantisce né protezione reale, né rieducazione (laddove possibile), né certezza della pena. Mentre intanto, passata l’attenzione retorica del 25 novembre, si continuerà a morire, a lasciare orfani, a raccontare l’orrore tremendo che ogni giorno si compie sulle donne e che in troppi dimenticano in fretta, lasciando che la rabbia scompaia al primo soffio di vento.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org