Il rapporto presentato da Transparency International sull’indice di Percezione della Corruzione (CPI) del 2018 ha portato buone notizie per l’Italia. Nonostante siamo ancora molto indietro rispetto ai grandi Paesi occidentali, l’Italia si posiziona al 53° posto su 100 nazioni valutate, registrando un netto miglioramento rispetto agli anni precedenti (solo nel 2013 ci trovavamo al 69° posto). Il rapporto, che usa una scala da 0 a 100 punti (dove lo zero indica una corruzione totale, mentre il cento l’esatto opposto) ha assegnato 52 punti all’Italia, posizionandola quindi proprio a metà di una classifica che non deve passare inosservata.

Come detto, infatti, l’immagine del nostro Paese migliora leggermente (ed è evidente secondo gli esperti che stilano la classifica), specialmente se si pensa ai provvedimenti e alle azioni intraprese in questi ultimi anni. Come affermato dal presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone, “dal 2013 è cominciata una lenta ma graduale salita che va spiegata soprattutto con il fatto che nel Paese si avverte la presenza di un meccanismo di contrasto alla corruzione: una magistratura più attiva, l’avvio di una politica di prevenzione della corruzione”.

Dello stesso avviso è Giulia Sarti, presidente della Commissione giustizia alla Camera, la quale riconosce la necessità di “ricercare anche altri strumenti per contrastare la corruzione, in particolare la prevenzione e il potenziamento dell’azione dell’ANAC che serve soprattutto agli enti locali, perché qui spesso le organizzazioni mafiose, ancora oggi molto presenti, inquinano con metodi conclamati, come ha evidenziato il processo su Mafia Capitale”. Insomma, la sensazione è quella di un passo in avanti nella lotta, anche culturale, alla corruzione che affligge il nostro Paese ormai da tempo.

Non bisogna però distogliere l’attenzione da quella che è la realtà italiana: una realtà difficile, spesso fatta di malaffare, corruzione e collusione che si espande spesso a macchia d’olio e che colpisce l’intera nazione, da Nord a Sud, con un danno economico e sociale enorme. In parole povere: al di là delle letture positive del rapporto, non è oro tutto quel che luccica.

La situazione, infatti, non è poi così positiva, se si pensa che nazioni come l’Oman, la Giordania e l’Arabia Saudita sono soltanto a 2-3 posizioni dall’Italia; allo stesso modo, altre quali il Rwanda, la Corea del Sud e Malta (dove è stata assassinata la giornalista Daphne Caruana Galizia) si sono posizionate alcuni gradini più in su rispetto a noi, a dimostrazione del fatto che ancora tanto deve essere fatto.

Virginio Carnevali, presidente di Transparency International Italia, ha infatti ricordato che “c’è ancora molto da fare, a partire dall’implementazione della recentissima legge anticorruzione, una legge che andrà valutata sulla sua capacità di incidere concretamente nel Paese”. Per Davide Del Monte, direttore dell’organizzazione, gli “alti livelli di corruzione e scarsa trasparenza di chi gestisce la cosa pubblica, conflitti di interesse tra finanza, politica, affari e istituzioni, rappresentano una minaccia alla stabilità e al buon funzionamento di un Paese”. Pertanto servirebbe prestare ancor più attenzione in quel senso, attuando regole più restrittive e allo stesso tempo trasparenti.

Insomma, la strada sembra quella giusta, ma il tragitto non è ancora stato completato: al contrario, i chilometri da percorrere sono tanti e piuttosto impervi, dato l’alto rischio e l’alta corruttibilità che contraddistingue il nostro Paese e la nostra storia. Il rapporto può farci sperare, quindi, ma non deve indurci a credere che oggi siamo in una fase così positiva.

Giovanni Dato -ilmegafono.org