Nella settimana che ha portato al voto centinaia di città italiane (tra cui Napoli, Milano, Roma, Torino, Bologna e Trieste), ci sono stati due scandali che hanno sollevato un polverone sulla credibilità della destra italiana. Se la vicenda Morisi ha messo in imbarazzo il capo della “Bestia” leghista, indagato per possesso e cessione di stupefacenti, ben più grave appare quanto emerso dalla prima puntata dell’inchiesta “Lobby Nera” di Fanpage (guarda qui), che ha messo alle corde il partito di Giorgia Meloni a pochi giorni dal voto. Questo primo capitolo, rilanciato anche dalla trasmissione di La7 “Piazza Pulita”, racconta l’infiltrazione, a partire dal 2019, del giornale online napoletano all’interno di un gruppo di sostenitori di Fratelli d’Italia, capeggiato dal “Barone Nero”, Roberto Jonghi Lavarini.

Nel video sono presenti anche l’europarlamentare FdI, Carlo Fidanza, e la candidata (successivamente eletta) al consiglio comunale di Milano, Chiara Valcepina. Il filmato presenta vari episodi di incontri pubblici e cene elettorali in cui senza mezzi termini i protagonisti, soprattutto i primi due, si esaltano con la peggiore retorica fascista. Nelle varie scene si alternano momenti in cui ci si lascia andare al più becero cameratismo ad altri in cui si presta maggiore attenzione, magari in contesti più formali, nascondendosi dietro termini come “patriota” o “saluto Covid” per non scomodare i soliti “camerata” o “saluto romano”, direttamente riconducibili al vocabolario fascista.

Uno schema comunicativo tipico anche dei partiti politici di destra, un modo edulcorato per strizzare l’occhio all’estrema destra senza (?) cadere nel reato di apologia di fascismo. Cosa ancor più grave è che da questa prima puntata dell’inchiesta sembrerebbe emergere un sistema di finanziamenti in nero. Il giornalista infiltrato, infatti, si è finto un imprenditore del campo finanziario interessato a sostenere la campagna elettorale alle comunali di Milano in cambio di favori istituzionali. Una volta guadagnata la loro fiducia, Fidanza e Jonghi Lavarini gli hanno spiegato la possibilità di farlo “in black”, illustrandogli le modalità. Dal video sembra emergere come il sistema sarebbe tutt’altro che occasionale e, anzi, potrebbe essere stato utilizzato già in altre occasioni dai due.

Le reazioni ovviamente non sono mancate. Giorgia Meloni ha gridato al complotto su Facebook, contestando la singolarità dei tempi di uscita del servizio, a due giorni dal voto per l’appunto. Quello che però sembra effettivamente assurdo è che, nei 7 minuti di intemerata della leader di FdI, nemmeno un secondo è stato speso per prendere le distanze da eventuali legami tra il suo partito e frange di estrema destra. Il malinteso è sempre lì. C’è tanto, troppo, di non detto. Nemmeno la retorica del giornalismo di parte regge più di tanto in questi casi, soprattutto se a farla è chi ha schierato come capolista al consiglio comunale a Milano proprio un giornalista (Feltri).

Insomma, l’attacco è la miglior difesa. Ed è così che in un attimo i carnefici si mascherano da vittime, la frittata viene rigirata e le gravi accuse mosse agli esponenti FdI vengono nascoste sotto il velo del complotto mediatico in rispetto della peggiore tradizione della politica italiana. Intanto i magistrati hanno preso in carico le oltre 100 ore di girato per effettuare le indagini del caso sui reati che sembrano prefigurarsi. La battaglia va ancora avanti in attesa della prossima puntata dell’inchiesta e della prossima occasione persa per Giorgia Meloni per ripudiare il fascismo e tutto il marciume che lo circonda.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org