Cateno De Luca è senza dubbio un personaggio particolare. Per alcuni è solo un ciarlatano, una macchietta, un istrione un po’ narcisista che si atteggia a capopopolo, per altri un politico navigato e a capo di un sistema di potere che lo sorregge, per i suoi sostenitori invece è una sorta di eroe rivoluzionario, oltre che un moralizzatore. Ora, al di là di come la si pensi e delle svariate definizioni su un personaggio politico certamente fuori dagli schemi, al leader di Sud chiama Nord e ora sindaco di Taormina si deve riconoscere però la capacità di aver squarciato il silenzio sulla gestione dei beni culturali siciliani e degli eventi che vengono realizzati al loro interno. La lunga polemica sulle modalità poco chiare con le quali la Regione Sicilia definisce l’utilizzo dei siti archeologici e autorizza concerti e spettacoli si era spenta davanti alla indisponibilità della Regione stessa, malgrado gli esposti in procura e gli imbarazzi di alcuni dirigenti, a fermare la macchina avviata nei mesi precedenti, inchinandosi di fatto davanti agli interessi e alle parole minacciose degli impresari.

La vicenda del teatro greco di Siracusa in questo è stata esemplare. Parliamo di un teatro scavato nella roccia antica, un luogo unico che già, per l’aumentato sfruttamento degli spazi in questi anni (incremento degli spettacoli, degli eventi e, di conseguenza, dei mesi di copertura lignea dei gradoni), versa in condizioni critiche. Lo hanno denunciato più volte gli studiosi, gli archeologi e i massimi esperti di pietra antica, oltre ad ex sovrintendenti ed ex direttori di Parco archeologico, incluso quel Calogero Rizzuto (ucciso dal Covid nel 2020), che aveva assicurato che, fino a quando sarebbe stato in carica, non ci sarebbero stati concerti al teatro greco. Allarmi ignorati dalla Commissione Anfiteatro, organismo al quale, dal 2019, per via di una legge fatta ad hoc per “rimuovere” gli ostacoli all’industria dei grandi eventi, spetta la decisione su concerti e spettacoli nelle aree archeologiche. Un organismo composto da funzionari di nomina politica, nessun tecnico e da un solo rappresentante degli enti di tutela, che però non ha alcun potere di veto, potendo esprimere solo un parere. In poche parole, come ha spiegato Cateno De Luca, tutto viene deciso sulla base di una “trattativa privata con gli impresari”.

Dunque, come abbiamo scritto su queste pagine più volte, ai privati viene concesso il monopolio dell’utilizzo dei siti culturali in cambio di oneri risibili, un canone ridicolo e una percentuale misera sui biglietti La contronarrazione è che questi eventi portano ricchezza. Ma che indotto genera questo tipo di gestione, al netto dei danni arrecati ad esempio a un luogo fragile come il teatro greco? 300mila euro? 500mila? Qualche pernotto nei b&b e negli alberghi già saturi e gremiti dal massiccio afflusso di turisti attirati dalla bellezza dei luoghi? Qualche coperto per i ristoratori che, in periodo estivo, hanno già il pieno di prenotazioni? Briciole rispetto agli introiti annuali (milionari) provenienti dallo sbigliettamento legato a chi visita l’area archeologica e quel teatro greco che, purtroppo per i visitatori, da aprile a ottobre, è coperto dalle strutture lignee. E anche sullo sbigliettamento e su chi lo gestisce, il neosindaco di Taormina ha spiattellato tutto, o meglio ha avuto l’ardire di pronunciare quel nome che tutti conoscono ma che nessuno nomina: Aditus.

Società piemontese che ha in mano la gestione di accessi e servizi in diverse aree archeologiche siciliane, da Taormina a Naxos, da Siracusa (parco della Neapolis, museo Paolo Orsi e Castello Maniace) a Tindari e Patti. Una società potente che, almeno per quel che riguarda Siracusa, ha il monopolio della gestione dei siti oltre a gestire l’organizzazione di molte mostre. In più, la stessa società ha realizzato persino un discusso B&B all’interno dell’area archeologica (leggi qui). Insomma, Cateno De Luca, meglio noto come “Scateno”, ha picchiato durissimo, denunciando persino presunti tentativi di corruzione da parte di esponenti di Aditus e accusando il presidente Schifani di essere a capo di una lobby politico-mafiosa che ha per oggetto i beni culturali. Un’accusa che è stata prontamente respinta sia da Aditus sia da Schifani.

Lo stesso Schifani ha poi affrontato De Luca sulla votazione in Regione dell’emendamento che alla fine assegna ai Comuni il 15% dei proventi derivanti dai ticket di ingresso ai siti archeologici e culturali dei territori di pertinenza. In poche parole, saranno i parchi a “risarcire” i comuni di appartenenza. Il risultato di una mediazione, secondo De Luca, ma in realtà un’elemosina che penalizza sia le finanze pubbliche sia i parchi archeologici. Ad uscire vincitori, insomma, sono esclusivamente privati e impresari, ai quali non viene chiesto nulla, se non qualche spicciolo (tra canone e biglietti). Non è passata, infatti, la proposta di tassare gli imprenditori con una quota percentuale (20%) degli incassi dei grandi eventi organizzati nei siti culturali. Un regalo a impresari, organizzatori e società di sbigliettamento e servizi, che continuano a tenere per sé la fetta più consistente della torta della gestione e dell’uso dei siti archeologici che, per inciso, anche in questa vicenda politica sono stati trattati semplicemente come merce, come oggetto, non come luoghi di inestimabile valore e meritevoli di tutela.

Al di là delle schermaglie politiche, delle accuse reciproche, delle azioni che eventualmente la magistratura, alla quale De Luca si sarebbe rivolto, accerterà, quello che emerge da tutta questa storia, infatti, è che nessuno ha speso una parola sulla assurdità di trasformare siti di pregio in un contenitore di spettacoli pop da sfruttare nonostante i rischi, certificati da relazioni e studi, di un loro irreversibile deterioramento. Luoghi che sono usati da impresari e predoni del profitto a ogni costo per sedurre gli artisti con la bellezza delle location e poi “trattare” con la politica locale, purtroppo compiacente ed eccitata dalla possibilità di dare ai propri “elettori” la loro utile dose di “panem et circenses”. Il che non sarebbe di per sé una cosa negativa, se ciò però non passasse sopra la salute di monumenti che sono patrimonio dell’Umanità e simbolo dell’identità umana. Un altro elemento che emerge dalla polveriera sollevata dal sindaco di Taormina, con riferimento sia ai grandi eventi e alla gestione dei siti archeologici sia al ruolo di Aditus, è il silenzio assordante dei rappresentanti istituzionali delle altre città coinvolte, a partire da Siracusa.

Nella città di Archimede, la vicenda non ha infatti provocato alcuna reazione, una dichiarazione, una spiegazione. Silenzio. Non soltanto quello, logico e atteso, dell’amministrazione e del sindaco (che intanto continua a rendere pubblica la sua eccitazione per i concerti), né quello quasi scontato della stampa locale che, ad eccezione della Civetta, sui concerti ha sposato sempre la linea del sindaco Italia. Il silenzio più profondo, il più eloquente, è stato quello delle opposizioni politiche, che pure avevano un bell’assist per attaccare l’attuale giunta. Ma forse il punto è proprio questo: quando la politica si fa sistema, fra trasversalismi, ammiccamenti e apparentamenti, difficilmente si assiste a dibattiti su questioni reali. E così finisce che nessuno si azzarda a toccare ciò che genera profitto per molti, anche se a scapito del nostro patrimonio collettivo.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org