Che nella vita, purtroppo, non tutto segua il tragitto della correttezza, che ci si possa imbattere in torti, in immeritati soprusi, è un dato di fatto con il quale si impara a convivere crescendo. Appare però assai complicato accettarlo quando ad essere ingiusta è la giustizia. Sembrerebbe essere proprio uno di questi casi la triste vicenda di Renato Cortese, l’ormai ex questore di Palermo, recentemente sollevato dal proprio incarico in seguito ad una sentenza del Tribunale di Perugia. I fatti che hanno cagionato tale sentenza risalgono al maggio del 2013 quando Renato Cortese, allora capo della Squadra Mobile di Roma, partecipò ad un’operazione mirata all’arresto di Mukhtar Ablyazov e che si concluse con l’espulsione dall’Italia della moglie di quest’ultimo, Alma Shalabayeva, accusata di possesso di passaporto falso, e della loro figlia.

Nel veloce iter che portò a tali espulsioni nessuno era venuto a conoscenza (né l’avvocato difensore della donna ne aveva fatto menzione) della circostanza che Ablyazov fosse un dissidente politico in Kazakistan e che quindi il rimpatrio fosse assai pregiudizievole per le sue familiari che, infatti, nel giro di pochi mesi, furono riammesse in Italia con lo status di rifugiato politico. L’ipotesi della procura, che avrebbe convinto i giudici a sentenziare la condanna (a cinque anni di reclusione nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici) di tutti gli agenti della Mobile coinvolti in quella operazione, è che questi ultimi avrebbero ingannato, anche attraverso la falsificazione di documenti, l’Ufficio immigrazione capitolino. Ma, come ha recentemente fatto notare l’avvocato difensore di Alma Shalabayeva, “nessuno degli imputati aveva un interesse personale in questa  vicenda. Vuol dire che hanno obbedito a degli ordini e chi li ha dati l’ha fatta franca”.  

In effetti, l’esplicita mancata individuazione dei mandanti di questa condotta giudicata delittuosa sembra dare all’intera vicenda i connotati del classico esempio di ricerca del capro espiatorio. Peccato che a pagarne lo scotto in questo caso sia un nome eccellente come quello di Cortese, un uomo che ha dedicato la propria vita a combattere il malaffare e le mafie, potendo vantare al proprio attivo operazioni molto importanti come quelle che hanno condotto alla cattura e all’arresto di Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Salvatore Grigoli e Bernardo Provenzano. Ed è proprio questo invidiabile curriculum al servizio della giustizia che è stato ricordato al collegio giudicante dagli avvocati difensori di Cortese, durante la loro arringa finale nella quale hanno inoltre palesato come l’unico interesse del loro assistito all’epoca dei fatti fosse stato “quello di catturare una persona che oggi da tutti viene indicata come un martire ma che, in quel momento, venne segnalata da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di avere commesso reati patrimoniali di rilevante entità”.

Nonostante la severa decisione del collegio giudicante non sono mancati nei confronti di Renato Cortese numerosi attestati di stima e di solidarietà. “Renato Cortese- ha scritto sul proprio profilo social Claudio Fava – è probabilmente il miglior poliziotto su cui questo Paese possa far affidamento. Non solo per i molti boss di cosa nostra e della ‘ndrangheta che ha catturato ma per lo scrupolo e il rigore con cui ha fatto del proprio mestiere quanto di più distante ci sia dalle facili mitologie degli sceriffi antimafiosi”. “Una sentenza – Fava- di imbarazzante e manifesta ingiustizia: chi volle quell’espulsione, fornendo informazioni false, la fa franca; chi si trovò a dover applicare la legge, in galera”. Inoltre, mentre l’Associazione nazionale funzionari di polizia di Palermo ha affidato ad una nota la voglia di ringraziare l’ex questore per il brillante lavoro fatto nei confronti della città, per il sacrificio quotidiano e per le sue doti personali e morali, nella torre del castello del  borgo crotonese di Santa Venerina, suo luogo natale, è stato proiettato il tricolore con la scritta “Io sto con Renato Cortese”.

Piccoli e grandi attestati di stima che però non sembrano poter placare la comprensibile delusione di un uomo che ha fatto del servire la giustizia lo scopo della propria vita e che ora se ne vede privato iniquamente. L’ex questore ha detto addio alla città di Palermo tramite una lettera di ringraziamento nel quale confida di avere il cuore spezzato. “Palermo – ha scritto Cortese – mi ha insegnato che dopo ogni caduta è possibile rialzarsi e che nei momenti più bui bisogna andare avanti e trovare la forza. Palermo è la parte migliore di me”. Sebbene possa apparire comprensibile che Alma Shalabayeva viva la sentenza di Perugia come un atto di giustizia, la percezione è che chi conosce la mafia ed il malaffare e li combatte quotidianamente, individui nella medesima sentenza una secca sconfitta, un autogol tutto a favore della criminalità organizzata. Ci si può solo augurare che le parole del questore si rivelino profetiche, che anche dopo questa caduta rovinosa ci si rialzi e che venga riconosciuto ad un fedele servitore dello Stato un trattamento migliore di questa incomprensibile ingratitudine.

Anna Serrapelle-ilmegafono.org