I siti minerari abbandonati in Italia, sono quasi 2500. La maggioranza di questi siti sono stati dismessi dopo gli anni Cinquanta del secolo scorso. In altri paesi europei, come in Francia, l’istituzione pubblica si è presa carico della bonifica e della valorizzazione culturale di questi luoghi che ora attraggono visitatori e appassionati. In Italia, la situazione è ben diversa, come si evince dal numero delle miniere abbandonate, soprattutto nelle due isole maggiori, Sicilia e Sardegna. I siti minerari dismessi che secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono a rischio da un punto di vista ambientale (dissesto idrogeologico/strutturale e inquinamento) sono 150. Alcuni di essi si trovano nelle due isole. Uno di questi siti è Pasquasìa, che è stata una delle più importanti miniere per l’estrazione di sali alcalini misti e per la produzione di solfato di potassio sin dal 1919, situata in provincia di Enna, su una piccola collinetta lungo la strada statale 122 Agrigentina.

Il sito, che dava lavoro a molte persone delle provincie di Enna, Caltanissetta ed Agrigento, fu chiuso inaspettatamente e in modo repentino, dopo anni di lento abbandono, il 27 luglio 1992. La chiusura della miniera ha decretato, a livello mondiale, la dismissione della Sicilia alla fornitura di sali potassici e derivati. Secondo il dottor Thomas Chaize il mercato mondiale del potassio e dei sali potassici derivanti, come il cloruro di potassio, è rimasto in mano a poche multinazionali che monopolizzano la produzione e vendita del minerale utile soprattutto in agricoltura. vista anche la mancanza di validi succedanei.

Il perché della chiusura e del relativo abbandono sono rimasti un mistero, o, per meglio dirla con la frase di un film del 1984 “Passaggio in India” del regista David Lean: “Credo che la parola ‘mistero’ sia solo un modo diverso di definire un pasticcio”. E per quanto riguarda la miniera di Pasquasìa, il “pasticcio” deve essere stato così grosso e grave da far interessare la Procura della Repubblica di Caltanissetta e la Direzione Distrettuale Antimafia, diversi uomini politici e, nel 2013, RaiNews che ha realizzato una video inchiesta, intitolata “Miniere di Stato”, della durata di 25 minuti, sul sito dismesso, ricostruendo la possibilità di smaltimento di rifiuti, anche radioattivi, all’interno della cava mineraria.

Secondo alcune attendibili ipotesi, il sito fu chiuso per essere utilizzato come fonte di stoccaggio di rifiuti radioattivi. La procura di Caltanissetta, ha stabilito che, negli 11 Comuni vicini alle miniere di Pasquasìa e Bosco Palo, il 43% dei decessi avviene a causa di tumore e, nel territorio del Comune di Caltanissetta, nel biennio 2008-2009, vi sono stati quasi 4.000 morti contro i 1200 della media nazionale. A questa ipotesi si contrappone la tesi sostenuta da fonti interne al personale della miniera e avvalorata dal giornalista siciliano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel 1984, secondo la quale la chiusura della miniera potrebbe essere dovuta alla mancata volontà politica di riconvertire il sito verso la più profittevole e strategica produzione di magnesio, presente come solfato nella kainite.

La riconversione si era resa necessaria perché la produzione del sale potassico a quel tempo avveniva con costi troppo elevati. Secondo questa tesi la riconversione, che era ormai necessaria ed urgente, veniva osteggiata e bloccata da interessi forti di multinazionali statunitensi e tedesche, le stesse che oggi hanno il monopolio della produzione di magnesio. Pasquasìa non è l’unica, non è la sola ex miniera abbandonata e trasformata in un inferno. Ve ne sono tante altre nel nostro Paese di miniere incustodite, abbandonate. Buchi neri scavati nella salgemma e quindi utili per inghiottire ogni tipo di veleno prodotto dalla superficie. Un’occasione troppo ghiotta per gli speculatori criminali di cosa nostra che, d’accordo con i camorristi campani, hanno messo su la più florida multinazionale di smaltimento rifiuti.

Polveri di metallo, amianto, scorie liquide, rifiuti ospedalieri speciali e radioattivi attraversano l’Europa e il Nord Italia, per finire seppellite nel Meridione. “Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? – ha raccontato l’ex camorrista Carmine Schiavone nel 1997 – L’essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1991, la zona del sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia”.

Lo stesso avviene in Sardegna, dove l’ex miniera di Furtei è diventata un lago di cianuro, fanghi tossici, con 300 ettari di terra che sono diventati veleno. Eppure questi veleni, questi lembi di terre dimenticate, che un tempo davano lavoro e pane, a costi altissimi di sacrifici umani, potrebbero diventare risorse, come accade in Francia o in altri paesi europei. Lo scrittore americano Chuck Palahniuk scrive: “Lavoro minorile in miniere e fabbriche. Schiavitù. Droga. Frodi finanziarie. Scempi ecologici, disboscamenti, inquinamento, coltivazioni estreme che portano all’estinzione. Monopoli. Malattie. Guerra. I patrimoni nascono tutti da cose sgradevoli”. Sì, nascono tutti da cose sgradevoli, come la morte dei lavoratori, degli operai, dei minatori: “Non è moderna la morte per gli operai, rimane antica” sussurra poeticamente Erri De Luca.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org