“…Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti … quando sei qui vicino a me, questo soffitto viola no, non esiste più, io vedo il cielo sopra noi che restiamo qui, abbandonati come se non ci fosse più, niente più niente al mondo …”. «Abbiamo trovato la macchina tutta crivellata di colpi e, mi è rimasto proprio impresso, c’era la canzone “Il cielo in una stanza” ancora che suonava alla radio», riferirà un uomo appartenente alle forze dell’ordine, il primo a giungere sul luogo del delitto del giudice Antonino Saetta, che viene trovato ucciso, insieme al figlio Stefano, lungo la strada statale 640, nella notte del 25 settembre 1988. Il corpo del padre è riverso su quello del ragazzo, come un estremo tentativo di Antonino di salvare la vita a suo figlio, in un ultimo drammatico abbraccio. Due corpi riversi, crivellati di colpi, poco distanti da Canicattì, in provincia di Agrigento, la città del magistrato.

Antonino Saetta aveva 65 anni, era il presidente della prima sezione della Corte d’Appello di Palermo, si era occupato di importanti processi di mafia, in particolare del processo relativo alla uccisione del capitano dei Carabinieri, Emanuele Basile, che vedeva imputati i pericolosi capimafia emergenti Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia. Negli anni precedenti si era occupato della strage in cui morì il giudice Rocco Chinnici e i cui imputati erano i Greco di Ciaculli. Il processo si era concluso con un aggravamento delle pene e delle condanne rispetto al giudizio di I grado.

Nel periodo 1976-1978 era stato Consigliere presso la Corte d’Assise d’Appello di Genova, dove si era occupato anche di taluni processi di risonanza nazionale (Brigate Rosse; naufragio doloso Seagull). Eppure, quel 25 settembre 1988, quando fu assassinato insieme al figlio Stefano, 35 anni, sulla statale Agrigento-Caltanissetta, mentre faceva rientro in macchina a Palermo, il presidente Antonino Saetta era pressoché sconosciuto al di fuori dell’ambiente della Corte di Assise di Appello di Palermo, ove lavorava, nonostante avesse speso gran parte della sua vita al servizio dello Stato, in magistratura, nei cui ruoli era entrato nel 1948, all’età di ventisei anni.

Nel 1996 sono stati condannati all’ergastolo, dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, per il duplice efferato omicidio, i capimafia Salvatore Riina e Francesco Madonia, come mandanti, e il killer Pietro Ribisi come esecutore materiale; gli altri due esecutori, Michele Montagna e Nicola Brancato, e il basista dell’agguato, il boss di Canicattì Giuseppe Di Caro, non sono più processabili perché tutti morti. La condanna, confermata nei successivi gradi di giudizio, è passata in giudicato. Giovanni Falcone, sull’omicidio Saetta disse: “È un’esecuzione decretata dai corleonesi, e non averlo ucciso a Palermo è solo il tentativo di sviare l’attenzione, per provare a far pensare a qualcosa di diverso tirando in ballo le cosche locali. Ma la decisione viene da lì, e secondo me ha a che fare sia con il processo Basile che con il maxi”.

A ricordo del giudice Saetta, nel 2020, il giovane regista Davide Lorenzano ha realizzato il film documentario “L’abbraccio”, film distribuito in Italia dopo essere stato presentato al Giffoni Film Festival, nella Masterclass Cult, il 29 agosto 2020. Un ricordo necessario, dopo anni di colpevole dimenticanza nei confronti di un uomo perbene, forse il più ignorato o dimenticato, tra i magistrati vittime della mafia. Un magistrato e un padre che ha cercato di proteggere suo figlio fino all’ultimo istante della sua vita attraverso un abbraccio, mentre il rumore dei colpi di mitra veniva affiancato, poco dopo, da “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. Poco più tardi, un uomo trovava, dentro l’abitacolo di una Lancia Prisma color grigio, due uomini riversi e abbracciati.

Immagino, sulle note di quella musica, le parole di Stefano rivolte a suo padre, prestate dallo scrittore Stephen Littleword: “Abbracciami, e non sentirò il peso delle parole, la gravità dei pensieri. Abbracciami e in questo abbraccio annulla il brusio della vita, i colori cupi del dolore. Abbracciami e in quell’istante annulla ogni separazione, io e te. Abbracciami e il mio respiro risuonerà nel tuo per un momento. Abbracciami”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org