L’ultimo rapporto realizzato da Greenpeace Italia, intitolato “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica”, ha presentato uno scenario preoccupante che riguarda non solo il mondo dell’ecologia e degli “addetti ai lavori”, ma soprattutto la gente comune, tutti noi, che con i rifiuti (e nello specifico la plastica) abbiamo a che fare ogni giorno. I dati che emergono dal rapporto evidenziano alcuni aspetti che vale la pena di citare affinché lo stesso scenario sia il più chiaro possibile.

Fino al 2017, la Cina era lo stato che più di tutti accoglieva i rifiuti dell’intero globo (Italia compresa): una sorta di bacino dell’immondizia che, data la lontananza, faceva dormire sonni tranquilli ai paesi che producevano quantità enormi di rifiuti. Dal 2018, però, Pechino ha deciso di dire basta: il taglio netto all’importazione dei rifiuti da parte del governo cinese ha sì spaventato i paesi esportatori, ma allo stesso tempo ha permesso agli stessi di virare verso stati più piccoli del sud-est asiatico (Malesia, Vietnam), spesso privi di impianti a norma o di certificazioni adeguate.

Tutto ciò ha dato vita ad un vero e proprio business dei rifiuti, spesso non proprio legale e difficilmente controllabile: secondo Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, già ai tempi in cui la Cina si faceva carico dei nostri rifiuti, il rischio di “un vero e proprio delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti” era molto alto. Adesso che la nostra plastica è diretta verso paesi ancor meno controllati, “potrebbe esserci il rischio che parte del materiale non sia riciclato seguendo i corretti standard”.  “Non si deve dimenticare – ha aggiunto Pennisi – che prima di esportare un rifiuto lo si deve sottoporre a un dato trattamento,  e soprattutto si deve avere contezza del tipo di trattamento cui sarà sottoposto una volta giunto nel paese di esportazione. In assenza di questi due requisiti, qualunque esportazione è da considerarsi illegale”.

L’Asia, comunque, non è il solo continente ad essere sotto la lente di Greenpeace. Sembra infatti che persino i paesi da poco entrati all’interno dell’UE (Romania e Slovenia fra tutti) godano di controlli meno accurati: ciò spiegherebbe l’aumento esponenziale (+385% tra il 2017 e il 2018) dell’export di rifiuti verso questi paesi, un numero pauroso e che deve far riflettere. E il riciclo dei rifiuti? Può, questo, essere una soluzione al problema?

In realtà, più che riciclare la plastica, bisognerebbe innanzitutto produrne di meno, soprattutto quella usa e getta. Proprio quest’ultimo tipo di rifiuto rappresenta il 40% dei manufatti prodotti in plastica, una percentuale troppo alta che aumenta a ritmi insostenibili e che già costituisce un problema estremamente serio per l’ecosistema e per l’essere umano. Risulta evidente, insomma, come un cambio di mentalità debba essere la vera ed unica priorità dell’intero pianeta. Produrre meno plastica, riciclarla in maniera corretta (più qualità, meno quantità) e, perché no, una maggiore educazione al rispetto dell’ambiente: solo così potremo salvare il futuro del mondo e della nostra specie.

 Giovanni Dato -ilmegafono.org