Il 9 febbraio, a Roma, è stata inaugurata la mostra “Antonio Donghi. La magia del silenzio”, dedicata ad uno dei più grandi interpreti della pittura italiana del Novecento. L’esposizione si svolge a Palazzo Merulana, museo gestito e valorizzato da CoopCulture e sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi. Curata da Fabio Benzi, la mostra sarà visitabile fino al 26 maggio. Antonio Donghi è ritenuto uno dei massimi esponenti del cosiddetto Realismo magico, termine coniato dal critico d’arte tedesco Franz Roh per descrivere lo stile pittorico e letterario nel quale la visione della realtà si arricchisce anche di elementi magici e fantasiosi. Artista schivo e riservato, Donghi conobbe il suo periodo di massima affermazione professionale negli anni Trenta del secolo scorso, mentre nel Dopoguerra, non riuscì ad adattarsi al nuovo clima culturale, continuando a produrre solo per alcuni affezionati collezionisti.

Dopo un silenzio di molti decenni da parte della critica, il suo immaginario astrattivo e al tempo stesso realista ha cominciato a impressionare gli studiosi e il pubblico a partire dagli anni Ottanta, al punto che le sue opere sono ormai incluse nella maggior parte delle rassegne internazionali sugli anni Venti e Trenta, fino a comparire sulle copertine dei relativi cataloghi come immagine iconica di quel periodo. La sua ricerca appartata e silenziosa aveva, a quei tempi, attirato l’interesse di critici importanti, ma l’elevato livello della sua opera è stato riscoperto solo in epoca piuttosto recente. La mostra “Antonio Donghi. La magia del silenzio” vuole aggiungere alla sua rivisitazione non solo uno studio, ancora mancante, sulle sue fonti culturali estremamente eclettiche, ma anche il ruolo importante che alcune collezioni pubbliche romane hanno svolto, attraverso la raccolta delle sue opere, per la conoscenza e diffusione della sua arte.

Per tale ragione, l’esposizione presenta le opere più significative provenienti dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dalla Banca d’Italia, dalla collezione UniCredit (già della Banca di Roma) e dalla Fondazione Elena e Claudio Cerasi. Un insieme di opere che rappresentano l’intero percorso dell’artista, toccandone tutti i temi principali: paesaggi, nature morte, ritratti, figure in interni ed esterni, personaggi del circo e dell’avanspettacolo. Solo tre dipinti particolarmente iconici (Pollarola, Ritratto di Lauro De Bosis, Annunciata), legati in diverso modo alla collezione Elena e Claudio Cerasi, si sono inseriti nella mostra al di fuori del nucleo delle collezioni pubbliche. Sono raccolte in mostra oltre trenta opere prevalentemente acquistate direttamente presso le maggiori mostre del tempo (Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, ecc.), o altrimenti reperite sul mercato rendendole di pubblica fruizione.

La mostra si pone come approfondimento di uno dei principali nuclei pittorici rappresentati nella Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede ed espone in permanenza tre fondamentali capolavori donghiani: Lavandaie (1922-23), primo vertice in assoluto del maestro; Gita in barca (1934); Piccoli saltimbanchi (1938). Sulla trama delle opere di Donghi in queste collezioni è possibile ricostruire interamente il suo percorso artistico, attraverso una serie di autentici capolavori. Ripensare il ruolo, il metodo, le aspirazioni di questo artista schivo ma capace di dar vita a opere uniche e impressionanti per il loro clima sospeso, per la densità di interrogativi che pone allo spettatore pur nell’apparentemente nuda realtà in cui sono presentati gli anonimi protagonisti dei quadri, appare oggi un doveroso passo in avanti per la sua conoscenza.

Come ha dichiarato all’ANSA il curatore Fabio Benzi – Donghi appartiene “alla generazione appena troppo giovane per aver vissuto e condiviso le istanze moderniste delle Secessioni romane come della prima fase del Futurismo, che si colloca con la sua maturità negli anni del primissimo dopoguerra: cioè a contatto con le istanze del ‘ritorno all’ordine’”. L’artista, prosegue Benzi – coglie “la radice formale dell’arte antica e al contempo l’espressione meno aulica del costume nazionale; diviene il poeta malinconico di un’Umanità che sembra essere a un bivio” e deve scegliere tra “la lenta tradizione romanesca o la modernità dei tempi nuovi”. In questo conflitto tra nuove identità – conclude il curatore della mostra – i personaggi dipinti da Donghi “sembrano davvero interrogarsi sulle loro identità, come in una commedia di Pirandello o di Bontempelli, figure incerte di se stesse e del loro ruolo nel mondo, personaggi in bilico tra fascismo opprimente e rilassata quotidianità”. La mostra “Antonio Donghi. La magia del silenzio” sarà visitabile fino al 26 maggio, dal mercoledì alla domenica dalle ore 12.00 alle ore 20.00 (ultimo ingresso alle ore 19.00). Per info su biglietti, prezzi e modalità d’acquisto clicca qui.

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