C’è un guscio vuoto, privo di valori ma ricco di ipocrisia, che si chiude su se stesso in difesa dei propri fallimenti e del proprio recinto: quel guscio vuoto si chiama Democrazia. Antonio Gramsci diceva: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”. Quei mostri sono davanti e accanto a noi, a loro abbiamo consegnato le chiavi di casa da tanto tempo, così tanto che ci siamo abituati alla loro presenza e al loro volere, al punto che non riusciamo nemmeno più a vederli chiaramente ma, anzi, ci sentiamo rassicurati dalla loro presenza. Sono i nostri cani da guardia, liberi e padroni del giardino di casa. Questa è, oggi, la fotografia di questo Paese. È una brutta fotografia, però il valore di una fotografia non è nella sua bellezza ma nella verità che racconta in quel frammento di tempo e di vita.

In questa coda di un inverno che non sembra tale, ma che gela l’anima degli uomini, i cani da guardia che questo Paese ha scelto e addestrato con cura hanno azzannato tutto quello che potevano azzannare. Lo hanno fatto alla luce del sole e senza scrupoli, forti della consapevolezza di essere padroni e guardie di quel guscio vuoto, consci della forza e del potere ottenuti seminando odio per anni, convincendo tante persone che le loro vite e le loro sicurezze potevano avere un futuro solo consegnando quelle chiavi di casa nelle loro mani. È una semina partita da lontano, un giorno alla volta, additando ogni volta un nemico da combattere: gli anarchici, la classe operaia, il bracciante, il migrante, il clandestino, il pacifista, i confini da difendere, le navi delle ONG, la preside di un Liceo di Firenze che non accetta di stare zitta e brava. Finito il ciclo si riparte dal via. Serviva pazienza per costruire quella tela di ragno, e quella pazienza è stata premiata dal voto, quasi un plebiscito.

Un plebiscito che ha dimenticato in fretta la storia dei vincitori e il loro passato: aumentare le differenze sociali e creare un solco fra la legge e la giustizia era l’obiettivo da raggiungere per ottenere il bastone del comando. Un passato che non ha mai nascosto l’autoritarismo e il razzismo, figli legittimi di un ventennio e di un pensiero politico che troppi portano ancora nel cuore. Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno fatto cadere ogni maschera e non si è trattato di incidenti di percorso o di fraintendimenti lessicali, ma di posizioni chiare e precise, prive di ogni casualità e perfettamente coerenti con un’idea inaccettabile di governo del Paese. Non è assolutamente pensabile che le affermazioni di uomini di governo che guidano ministeri importanti come Giustizia, Istruzione e Interni, possano essere una voce fuori dal coro e non condivisa dall’intero esecutivo e da gran parte del parlamento.

Che questo governo fosse in realtà un governo di estrema destra lo si sapeva fin dal primo momento, così come si sapeva e si poteva immaginare che avrebbe agito anche oltre i confini di una Costituzione su cui tutti i governi giurano fedeltà, ma che poi ignorano apertamente. C’è una politica internazionale che pone il nostro Paese in guerra anche se si vuol far credere che così non sia: nessuno sforzo diplomatico per tentare una via della pace ma unanimità di intenti sull’invio di armi, perché l’azione diplomatica richiede persone in grado di capirne il valore e perché la lobby delle armi in Italia è potente, più di quanto si creda. Questo è un aspetto che dura dal precedente esecutivo ma non può essere una giustificazione. La matrice di questa legislatura è emersa in tutta la sua anima nera nei fatti delle ultime settimane: dalla gestione del caso Cospito alle violenze squadriste davanti al Liceo “Leonardo Da Vinci” di Firenze e alla strage nel mare di Calabria, a Cutro.

In ognuna di queste storie emergono l’arroganza e la violenza, fisica e intellettuale, di una catena di comando cresciuta dentro quel guscio vuoto della “democrazia”, incapace per scelta di vita di assaporare quello che, per un grande uomo e un grande fotografo come Sebastiao Salgado, era il “sale della Terra”: respirare la fatica dell’uomo, i suoi ritmi, le sue angosce, ma anche le sue speranze. Non esistono tracce della volontà di capire tutto questo nelle affermazioni e nell’agire di questo governo e dei suoi ministri: non esistono nell’accanimento riservato ad Alfredo Cospito. Le diverse valutazioni delle autorità giudiziarie non sono mai state prese realmente in considerazione ed ha prevalso la decisione, fortemente voluta dal ministro Nordio, dal governo e da gran parte del parlamento, che crea tutte le condizioni per arrivare ad un punto di rottura e di scontro tale da giustificare poi qualsiasi intervento nei confronti di ogni dissenso sociale e politico.

Non esistono tracce di questa volontà nelle parole del ministro Valditara, in seguito allo squadrismo fascista a Firenze. Le sue parole in risposta alla lettera di Annalisa Savino, dirigente del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, sono una ignobile conferma di come i rapporti di forza siano esercitati nel totale disprezzo della democrazia, del diritto e della libertà di espressione, un’aperta minaccia nei confronti di chi non accetta, passivamente e in silenzio, il ruolo di soldatino subordinato al potere centrale. Infine, ma solo da un punto di vista cronologico, si è arrivati all’ennesima strage in mare sulle coste della Calabria. Lì, sulla spiaggia di Cutro, dove il conto delle morti non è ancora finito, era impossibile sentire parole più oscene e violente di quelle pronunciate dal ministro degli Interni, Matteo Piantedosi. Se le parole hanno un peso specifico, e lo hanno sempre, quelle del ministro sono un inaccettabile insulto all’umanità che, in un Paese civile, porterebbero alle dimissioni da un incarico per cui si è giurato davanti alla Costituzione. Ma queste dimissioni non ci saranno mai, perché quelle parole sono il nocciolo di un’idea di vita condivisa da chi guida questo Paese dove tutto si dimentica.

È tutta la catena di comando ad essere messa sotto accusa e quella catena è la fotografia che racconta un Paese spaccato e diviso, che ha permesso tutto questo e che ha tante firme: dalla Legge Turco-Napolitano del 1998, che istituisce i Centri di permanenza, alla Legge Bossi-Fini del 30 luglio 2002, dagli accordi con la Libia del Governo Gentiloni e voluti dal ministro degli Interni, Marco Minniti, ai “decreti sicurezza“ di Matteo Salvini e all’ultimo “decreto sicurezza” del governo Meloni e del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che continua la guerra alle ONG e condanna a morte chi è costretto a salire su un barcone per attraversare il mare alla ricerca di una vita diversa. Dalla notte di Natale del 1996 al largo di Portopalo di Capo Passero, al 3 ottobre 2013 a Lampedusa, a oggi, sulla spiaggia di Steccato di Cutro. C’è un mare gonfio di umanità cancellata davanti al giardino di casa nostra e davvero chi ha governato ieri e governa oggi questo Paese pensa di essere in pace con la propria coscienza? Davvero pensa di non avere le mani sporche?

La domanda vale per tutti, nessuno escluso, perché ognuno ha avuto possibilità e tempo per cambiare la rotta, ma non l’ha fatto. Ognuno ha dato il suo “contributo” a questa mattanza, per convinzione o per convenienza politica non fa differenza. Spezzare quella catena di comando è un dovere, un obbligo. È l’unica strada per restituire dignità e bellezza a una fotografia che non possiamo accettare. “L’utopia è come l’’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. (Eduardo Galeano)

Maurizio Anelli -ilmegafono.org