Originale e innovativo, capace di fondere la tradizione orientale e quella occidentale, Wang Guangyi è un artista multimediale, autore di installazioni di grandi dimensioni, noto in particolare per la capacità di far interagire immagini tratte dall’arte occidentale con altre tipiche della cultura asiatica, ma anche la filosofia delle due diverse aree del mondo. Il grande pittore cinese è il protagonista della mostra, inaugurata il 6 settembre scorso e in svolgimento fino al 10 dicembre prossimo presso palazzo Pitti, a Firenze. L’esposizione si intitola “Obscured Existence” ed è la prima mostra personale di Wang Guangyi in Italia. Curata da Eike Schmidt e Demetrio Paparoni e composta da 28 dipinti dell’artista, “Obscured Existence” è un percorso a tappe attraverso quattro distinti cicli, che indagano cosa sta davvero dietro la ritualità dei gesti di tutti i giorni e l’uso degli oggetti più comuni. Allo stesso tempo, le opere esplorano anche il modo in cui la cultura d’origine di ciascuno influenza la percezione di un’opera d’arte.

Il viaggio si apre con “Daily Life”, dipinti incentrati sull’intimità dei piccoli gesti abituali di ogni giorno. In questa prima serie, Wang Guangyi si ritrae in momenti della vita privata, solo, inerme di fronte alla propria corporeità; la ripetitività dell’ordinario assume quasi la valenza di un rituale, mentre l’incedere meccanico dell’abitudine si carica di un’aura sacra. In questi attimi noncuranti l’uomo è capace di riconnettersi con se stesso: protette da quelle che l’artista definisce “strutture di potere”, le azioni individuali che si svolgono in uno spazio privato sono fessure sulla “nuda vita”, la parte di ognuno ancora immune dalle interpretazioni.

Nel secondo ciclo, “Ritual”, la fragilità della figura umana lascia il posto alla mobilità inaccessibile dell’oggetto. Esso, spogliato della sua solita connotazione, diventa simbolo di una liturgia segreta e personale, traccia di un significato che supera la cosa, suscitando sensazioni contrastanti. In “Ritual n. 3”, per esempio, l’artista protegge un normale water di ceramica bianca tramite un cordone rosso sorretto da due colonnine in ottone, il tipico separatore in uso nei musei o nei luoghi sacri. Dal paradosso scaturiscono due sentimenti opposti: l’inquietudine dovuta alla consapevolezza che qualsiasi luogo può essere dichiarato inaccessibile, e il sorriso dovuto al fatto che si salvaguarda un oggetto di indubbia ordinarietà. In questo incontro di sensazioni, secondo l’artista, viene spronato il pensiero e quindi la consapevolezza di esistere.

Il seme della mostra, però, arriva a piena fioritura solo con la serie “Obscured Existence”, che dà il titolo anche al concetto che l’ha generata. Riprendendo un’antica tecnica pittorica cinese, il “Wu Lou Hen”, Wang Guangyi inonda le sue figure di una fitta sgocciolatura che ne cancella l’aspetto ordinario per rivelarne un’anima oscura, mistica, inafferrabile. Determinato a dimostrare come sistemi sociali differenti portino a una diversa comprensione del mondo, il pittore si immerge nell’iconografia occidentale, descrivendo le forme della tradizione cristiana attraverso un linguaggio a loro estraneo, orientale e personale. In “Enlarged Medusa”, ispirato dallo scudo di Caravaggio conservato alle Gallerie degli Uffizi, l’artista sovrappone all’immagine una particolare griglia a nove quadri, retaggio della tradizione cinese, che riduce la percezione estetica dell’originale e ne sminuisce l’intensità emotiva. Ne consegue che gli osservatori, spiazzati dall’imprigionamento della testa di Medusa, si ritrovano così a dover “scavalcare” visivamente il famosissimo dipinto di Caravaggio, per afferrare invece la verità sepolta nell’opera.

Il percorso si chiude con il ciclo “The shadow of memory”, che registra quel che resta del nostro passaggio nella memoria di un luogo. Da segnalare, infine, che l’autoritratto di Wang Guangyi, al termine dell’esposizione, verrà donato alle Gallerie, entrando così a far parte della più vasta e prestigiosa collezione museale di questo tipo di opere al mondo

Per il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, “l’artista tratta spazi ‘normali’ e semplici oggetti d’uso con lo stesso rispetto, indagando in essi e nella loro traduzione pittorica un’anima trascendentale. Da questa prospettiva riesce ad unire – senza confonderle – le tradizioni occidentali e orientali in modo originale e innovativo”. Secondo il curatore Demetrio Paparoni, “nel Novecento la svolta nell’arte cinese l’ha data la generazione di Wang Guangyi”. “Nella seconda metà degli anni Ottanta – continua Paparoni – lui è tra quanti in Cina hanno dato vita a una rivoluzione linguistica e contenutistica con lo stesso spirito che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo ha animato in Europa l’azione delle avanguardie storiche. Il peso assunto dalla sua ricerca filosofica e spirituale, portata avanti attraverso la pittura, la scultura, le grandi installazioni, fa di Wang Guangyi uno dei grandi protagonisti della Storia dell’arte contemporanea cinese”.

Redazione -ilmegafono.org