A più di 40 anni dal referendum sull’aborto, la maggioranza di governo italiana ha scelto di fare un enorme passo indietro nel riconoscimento di quello che dovrebbe essere un diritto ormai acquisito delle donne, regolato dalla legge 194 del 1978. Solo alcuni giorni fa il partito della premier Giorgia Meloni, Fratelli D’Italia, aveva proposto un emendamento al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) per agevolare la presenza e le attività di associazioni pro-vita antiabortiste nei consultori familiari e, come se il referendum del 1981 non fosse mai stato votato, il nostro Parlamento ha accolto l’emendamento, pur con qualche riserva tra le file della Lega e di Forza Italia. L’aula di palazzo Madama ha votato il 23 aprile la fiducia posta dal governo sul disegno di legge di conversione del decreto Pnrr, consentendo quindi che l’emendamento sull’ingresso di associazioni pro-life nei consultori sia riconosciuto come norma.

Tutto questo, sotto gli occhi increduli delle opposizioni che, a ragione, avevano definito quella proposta “l’ennesima offesa ai diritti e all’autodeterminazione delle donne”. Con una mossa del tutto politica e anacronistica, il Parlamento italiano ha sferrato un attacco diretto alla legge 194, mentre in gran parte degli Stati europei il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza è ormai pienamente acquisito, con la Francia che, lo scorso 4 marzo, è diventata la prima nazione al mondo a inserirlo nella sua Costituzione. Anche il Parlamento europeo, giovedì 11 aprile, ha votato a favore dell’inclusione del diritto di aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue: il voto è simbolico in quanto la risoluzione non è vincolante, ma dimostra in modo chiaro quale sia la posizione di quasi tutti i Paesi membri sul tema.

La stessa Commissione europea ha risposto anche all’iniziativa italiana: Veerle Nuyts, portavoce agli Affari economici dell’esecutivo von der Leyen, ha detto che l’emendamento al decreto Pnrr proposto da FdI per l’inserimento dei movimenti pro-vita nei consultori non può e non dovrebbe essere legato ai fondi stanziati dal piano di ripresa e resilienza. Senza dimenticare che, proprio nella risoluzione per includere l’interruzione volontaria di gravidanza nella carta dei diritti fondamentali dell’Ue, l’Aula di Strasburgo aveva fatto un esplicito richiamo a Roma, per la costante erosione di un diritto sempre più difficile da esercitare nel nostro sistema sanitario a causa del comportamento dei medici obiettori e degli ostacoli frapposti per decisione delle singole regioni. Il testo chiedeva anche lo stop dei finanziamenti ai gruppi anti-abortisti e pro-vita, ma l’Italia ha scelto di andare in direzione del tutto opposta.

Secondo l’emendamento appena approvato, le Regioni, nell’organizzare i servizi dei consultori previsti dalla legge 194, a cui le donne si rivolgono per poter ottenere il certificato medico con il quale accedere all’interruzione volontaria di gravidanza in ospedale, ora possono “avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. In concreto, una donna che si rivolge ad un consultorio per interrompere una gravidanza, una decisione che di per sé comporta grande stress e frustrazione, ora rischia di essere costretta anche a confrontarsi con esponenti di associazioni pro-vita dei quali, per altro, non si conosce nemmeno la formazione.

Insomma, invece di potenziare personale e servizi dei consultori, che in Italia sono sempre meno numerosi e con pochi fondi a disposizione, si è scelto di introdurre in strutture pubbliche che hanno e devono continuare ad avere un’impronta laica, associazioni anti-abortiste il cui scopo è limitare un diritto. Come ha sottolineato in un’intervista a Repubblica, Raniero La Valle, intellettuale cattolico che scrisse la legge sull’interruzione di gravidanza, la destra ha deciso di trasformare i consultori in “un’arena” di scontro ideologico “sulla pelle delle donne”, che avranno sempre più difficoltà ad esercitare un diritto fondamentale.

Redazione -ilmegafono.org