La mafia è una vera e propria piaga sociale, un virus super aggressivo in grado di infettare tutti i settori del vivere sociale, danneggiandoli in modo grave e spesso irrimediabile. È stata la consapevolezza di questa pericolosità, di questa capacità della mafia di diffondersi capillarmente, unita al particolare momento storico di profonda crisi economica e tensione sociale, a ispirare l’inusuale appello di Avviso pubblico, la rete di enti locali impegnata nella promozione della formazione civile contro le mafie. Un appello rivolto alla nuova classe politica italiana. In occasione delle prossime elezioni amministrative e regionali, infatti, l’associazione ha invitato i futuri candidati a sottoscrivere l’appello ed inserire nel proprio programma elettorale 12 “impegni concreti” nella lotta alla mafia.

I dodici punti individuati nel documento investono diversi importanti settori del contrasto alla criminalità organizzata, dalla prevenzione sino agli aspetti più tecnici e settoriali. In sintesi, ai nostri possibili futuri nuovi amministratori viene richiesto di assumersi l’onere di promuovere percorsi di rieducazione alla legalità e di diffusione della stessa (anche prevedendo l’eventuale istituzione di un assessorato ad hoc), di impegnarsi attivamente nel contrasto all’elusione ed alla corruzione, di rendicontare periodicamente i finanziamenti ottenuti in campagna elettorale e durante l’attività politica e di impegnarsi nel sostegno delle vittime del racket e dell’usura e nel riutilizzo sociale dei beni confiscati.

A ben vedere nulla di così anomalo, visto che ai candidati viene semplicemente richiesto di porre in essere dei “comportamenti credibili e responsabili”. La semplicità di queste richieste fatte da Avviso Pubblico non ne riduce però la portata rivoluzionaria. La storia politica italiana racconta di atteggiamenti ben diversi. Siamo abituati a racconti di inopportuni baci tra importanti uomini politici e boss di un certo calibro o a vicende di personaggi in grado per esempio di assumere come stalliere un mafioso e di definirlo “una brava persona”.

Ma è forse finalmente giunto il momento di cambiare rotta, di rendersi conto che l’unica possibilità di salvezza per il nostro Paese sta nella consapevolezza, nell’impegno, nel rispetto della legge senza se e senza ma e, al contempo, nella convinzione che solo così, avendo cura di ciò che è di tutti, della “res publica”, ci potrà essere una qualche ripresa, poiché, finché il malaffare e la corruzione dilagheranno, nulla potrà realmente funzionare. Se gli appalti pubblici sono “pilotati” le opere non saranno mai realizzate bene, se chi ci amministra viene “sponsorizzato” da certi individui non verranno mai fatte scelte utili alla collettività, e così via.

Perché l’Italia possa guarire, sfuggire un po’ al giogo mafioso e della corruzione, scrollarsi di dosso “le flebo attaccate da chi ha tutto il potere” e far risplendere la propria dignità, non sono più sufficienti né gli slogan politici né la mera azione repressiva. Serve, al contrario, un articolato percorso di rieducazione alla legalità e di impegno attivo di tutti, non solo magistratura e forze dell’ordine, ma enti locali e singoli cittadini. In questo complesso percorso di guarigione, di rinascita, ognuno è chiamato a fare la propria parte.

Anna Serrapelle-ilmegafono.org