In questo tempo di guerra, una storia di volontariato durante l’accoglienza dei rifugiati ucraini arriva dalla Repubblica Ceca. Sono più di 260.000 i cittadini ucraini che sono stati accolti in Repubblica Ceca fin dall’inizio del conflitto. Secondo le stime del Ministero dell’Interno ceco, potrebbero già essere in 300.000. Questo numero si aggiunge ai circa 225.000 ucraini che vivono nel Paese da prima del recente conflitto. Gli ucraini formavano già il gruppo etnico più numeroso tra gli emigrati. I rifugiati di guerra che hanno la fortuna di avere parenti e conoscenti vengono spesso accolti negli appartamenti di questi ultimi, ma per la maggioranza ciò non è possibile. Associazioni di volontariato, Croce Rossa, Vigili del Fuoco e numerose amministrazioni hanno messo a disposizione personale, mezzi e posti letto di emergenza, in una gara di accoglienza senza precedenti.

Ho deciso di sfruttare le mie conoscenze linguistiche ed il mio tempo libero per dare un piccolo contributo come traduttore/interprete (ceco/russo) volontario in diversi centri di accoglienza della capitale ceca. Sebbene possa sembrare strano ai lettori italiani, la maggioranza degli ucraini parla fluentemente il russo. Molti lo fanno con un accento caratteristico, ciò rende possibile riconoscere la nazionalità dell’interlocutore. Il corpo dei volontari è multinazionale: cechi, ucraini, russi e polacchi.

Tra le numerose storie che ho visto ed ascoltato, desidero riportarne una che profuma di speranza e disobbedienza civile. Ho prestato un turno di servizio notturno con Sasha (nome di fantasia per tutelarlo), volontario russo di Nizhnij Novgorod, che abita a Praga da 10 anni. Il nostro compito era di fare da interpreti per la Cizinecká policie (la polizia degli stranieri, un corpo speciale che si occupa della regolazione dell’immigrazione). Sebbene la maggioranza dei richiedenti asilo fossero nuclei familiari senza uomini adulti, la presenza di uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni (i cosiddetti disertori militari) era notevole.

Ho chiacchierato con Sasha durante le pause, giusto un po’, perché i turni sono di 5 ore e mezza e sono abbastanza estenuanti. La sua situazione era delicata (russo in mezzo agli ucraini) e la presenza costante di cechi abbastanza russofobi non ci ha permesso di approfondire certe tematiche “calde”. Normalmente ci sono attacchi verbali e fisici verso la minoranza russa in Repubblica Ceca ed i russi cercano di tutelarsi senza esporsi troppo. Questo ragazzo ha rischiato tanto, stando in quel luogo a fare il volontario. Qualche volta veniva provocato anche da una volontaria ucraina, anche lei in servizio con una mansione simile. Lei ci chiedeva cosa pensassimo dei russi e della guerra. Ho esposto le mie tesi pacifiste, le ho ricordato che anche noi italiani abbiamo commesso crimini di guerra, sia in Ucraina nel 1941, nelle regioni di Dnepropetrovsk nel settembre del 1941, di Poltava e del Donbass nel luglio del 1942.

Ho chiesto scusa per questo. Le ho ricordato che anche gli Ucraini hanno commesso nell’estate del 1943 crimini di guerra, anzi una vera e propria pulizia etnica verso i polacchi che abitavano nelle regioni della Galizia orientale e Volinia, per mezzo di gruppi nazionalisti controllati dal loro “eroe nazionale” Stepan Bandera. Ho affermato che non esistono popoli buoni o cattivi, il bianco o nero è solo uno stereotipo hollywodyano. Sasha è contro la guerra. Pensa che le cause profonde di questo conflitto siano dovute all’ambizione economica della Russia/Cina di sostituire il dollaro americano con la propria valuta per gli scambi finanziari e commerciali. Ho visto Sasha di volta in volta davanti ai vari Oleh, Mykyta, Serhiy. Tutti erano consapevoli della sua nazionalità. Nessuno ha pronunciato un’invettiva, una frase o parola di odio, nessuno sguardo di disprezzo verso di lui da parte dei profughi. Immaginate i chilometri percorsi, la stanchezza, la paura di morire di questi ucraini ed il futuro incerto che li attende. Potranno mai ritornare nella loro terra senza essere puniti secondo la legge marziale? Quale sarà il prezzo da pagare per essere un pacifista e per voler salvare delle vite umane?

Durante una pausa ho riflettuto sul destino diverso che questi uomini si erano creati. 1000 km più a est avrebbero imbracciato un’arma per spararsi contro. Hanno deciso di emigrare e di disertare. Di abbandonare due meravigliosi paesi stritolati dalla corruzione, dal nazionalismo e dall’avidità di due classi dirigenti che eseguono senza scrupolo i diktat dei vari oligarchi le cui mani grondano di sangue. Anche in mezzo al sangue e all’odio, dunque, l’umanità trova spazio, così come la pace e chi non si arrende davanti al conflitto tra i propri governi e continua a cercarla e a costruirla. Anche in un centro rifugiati in Repubblica Ceca.

Pacimir -ilmegafono.org