Rocco Morabito, pericoloso boss della ‘ndrangheta e latitante per oltre 23 anni prima di essere arrestato nel 2017, è scappato dal carcere in cui si trovava in Uruguay. A dare la notizia è stato il ministero dell’Interno uruguaiano che, da domenica scorsa, è in stretto e assiduo contatto con quello italiano. Il piano di fuga escogitato dal boss sembra proprio quello di un film hollywoodiano: dopo aver simulato un malore, Morabito è stato portato nel reparto di infermeria del carcere in attesa di essere ricoverato. Da lì, in collaborazione con alcuni complici, è riuscito a dileguarsi e a scappare sul tetto della struttura per poi far perdere le proprie tracce.

Così, uno degli esponenti più pericolosi della criminalità organizzata italiana è nuovamente in fuga, ancora una volta latitante e, mentre tra le aule del governo ci si domanda come non si sia riusciti ad evitare tutto ciò, il vero quesito che ci si pone adesso è quanto tempo dovrà passare prima che le autorità riescano a riacciuffarlo.

La storia di Morabito, per chi non ne fosse al corrente, è quella tipica di un boss: prima del 2017, quando venne arrestato in una località di lusso dell’Uruguay, aveva gestito per anni il traffico di droga tra Sudamerica e Italia, un traffico così importante e remunerativo che lo aveva costretto a darsi alla latitanza e alla fuga proprio nel paese sudamericano in cui viveva da circa 10 anni. Lì, lontano dai riflettori della magistratura e della giustizia italiana, si era rifatto una nuova vita grazie alla creazione di un’azienda di import/export della soia: una copertura, questa, che lo stesso aveva architettato e progettato nei minimi dettagli tanto da pensare che avrebbe vissuto nell’anonimato per il resto dei propri giorni.

Poi, due anni fa, durante alcuni controlli di polizia e nel tentativo (fallito) di spacciarsi per un imprenditore brasiliano, Morabito cadde definitivamente nella rete della giustizia, dando il via alla procedura di estradizione che lo avrebbe riportato in poco tempo nel nostro Paese. Queste, almeno, erano le intenzioni fino a due anni fa. Questo era l’obiettivo di chi combatte contro la mafia: ottenuta la cattura, quel che restava era solo organizzare un viaggio di sola andata per l’Italia e assegnare il boss al regime di carcere duro per i prossimi decenni. Cosa sia successo nel frattempo non ci è dato saperlo: perché è passato così tanto dalla momento della cattura all’estradizione? Perché il nostro governo, considerata la pericolosità del boss, non ha preso misure aggiuntive di protezione? Eppure, a quanto pare, i servizi segreti uruguaiani avrebbero persino avvertito quelli italiani del pericolo imminente di fuga e dell’enorme rete di appoggi e conoscenze di cui il boss avrebbe goduto prima, durante e dopo la fuga.

Guai a ricordare a Salvini che forse bisognava accelerare, fare pressioni per portare il boss in Italia. Se il ministro avesse agito con la stessa decisione e con lo stesso clamore della vicenda Battisti, l’ex terrorista ormai inoffensivo che non voleva essere estradato nel nostro Paese, magari Morabito sarebbe già in Italia, nelle patrie galere e nelle mani dei magistrati. Invece no. Su Morabito nessuna fretta. Nessuna pressione. Nessuna parola, fino a quando non è scappato. Volatilizzato. Forse Morabito fa meno notizia di Battisti, forse le mafie per i fan di Salvini hanno meno appeal dell’ex terrorista riconducibile a idee pseudocomuniste. O forse la ‘ndrangheta è meglio lasciarla perdere, perché il rischio è maggiore. D’altra parte, basta uno slogan, la promessa di riacciuffarlo e il gioco è fatto. Il popolo applaude, il governo tace, il ministro passa al prossimo tweet contro la Sea Watch o contro qualche pregiudicato di poco conto ma dal cognome straniero.

Nel frattempo, il nostro italianissimo Morabito è tornato a fare quel che gli risulta più facile e in cui ha decisamente più esperienza, ovvero delinquere e fuggire. Così, mentre Salvini non si assume le responsabilità del proprio ruolo, uno dei 10 latitanti italiani più pericolosi è attualmente in fuga tra le vie e i campi del Sud America.

Giovanni Dato -ilmegafono.org