La situazione dei mari nel Pianeta è drammatica. Si resta senza fiato, in senso negativo, quando si guardano i video delle isole galleggianti, dalle dimensioni gigantesche, interamente composte da rifiuti. In Italia non abbiamo ancora fenomeni simili, ma il problema è altrettanto urgente e riguarda anche il Mediterraneo. Se le spiagge italiane sono invase da plastica e rifiuti di ogni sorta, la situazione addirittura peggiora se ci spostiamo sui fondali. I mari soffrono, sono stracolmi di rifiuti, gli animali e gli ecosistemi marini sono minacciati da un pericolo letale. La denuncia, l’ennesima, arriva da Greenpeace, che nei giorni scorsi ha mostrato la gravità delle condizioni marine attraverso la  spedizione denominata “C’è di mezzo il mare”.

L’associazione ambientalista ha fatto tappa a San Felice Circeo, località sulla costa laziale, dove i volontari, in collaborazione con un team di subacquei, hanno effettuato una operazione di recupero di vari attrezzi da pesca e rifiuti nei fondali, a poche miglia dalla costa. Durante l’operazione di recupero, durata mezza giornata, è stata estratta dai fondali una quantità enorme di rifiuti, tra cui plastica e tantissimi attrezzi da pesca come le nasse. Una tipologia di rifiuti che inquina il mare e rappresenta una minaccia per la vita di tartarughe, delfini e per la fragile biodiversità marina. I volontari hanno riempito un intero furgone con i materiali tirati fuori dalle acque di San Felice Circeo.

Una situazione molto grave che, come sottolinea Greenpeace, mette a rischio “tantissime specie animali che vivono nel Mediterraneo” e che “ingeriscono plastica accidentalmente, o scambiandola per cibo, con notevoli impatti sulla loro salute che in alcuni casi può portarle fino alla morte”. Un pericolo confermato dai dati raccolti durante gli spiaggiamenti di animali marini avvenuti in Italia negli ultimi anni, che certificano “l’accumulo di grandi quantità di materiale plastico nell’apparato digerente di animali come zifi e capodogli che, per alimentarsi, si immergono a grandi profondità (superiori ai 1000 metri)”. Di solito, il materiale ritrovato negli animali è costituito da “grandi teli di plastica da usi agricoli, borse e sacchetti di plastica, frammenti di corde, lenze, pezzi di reti e fili sia plastici che metallici”. Inoltre, spesso accade che gli animali restino impigliati nella plastica, con il rischio concreto di “annegare, soffocare o subire traumi fisici come amputazioni o infezioni che spesso impediscono loro di nutrirsi correttamente, portandoli alla malnutrizione”.

Greenpeace individua una possibile soluzione per ridurre sensibilmente il problema, almeno per quel che riguarda i mari italiani. Si tratta delle aree marine protette. In Italia, meno dell’1% dei mari risulta protetto. “Creare un’area marina protetta – scrive Greenpeace – significa non solo tutelare la flora e la fauna, ma anche irrobustire l’ecosistema marino dal quale tutti dipendiamo”. Per tale ragione, per spingere la politica a dare prova concreta di attenzione alla salute del mare e alla lotta alla plastica, Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere al Ministero dell’Ambiente e al Ministero per le Politiche del mare “di non perdere altro tempo e di istituire con urgenza una rete efficace di aree marine protette nel Mediterraneo”. Per firmare la petizione clicca qui.

Redazione -ilmegafono.org