Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso da cosa nostra, ha richiesto di incontrare nuovamente i boss Filippo e Giuseppe Graviano, ma il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ha detto no: il timore, dicono i magistrati, è che le parole dei due boss possano portare ad inquinamenti e depistaggi su quello che resta uno dei misteri più grandi dello Stato italiano. Lo scorso dicembre, in realtà, la Borsellino aveva ottenuto l’ok ad incontrare i due fratelli (al momento detenuti in regime di 41 bis nelle carceri di L’Aquila e Trani), un incontro che, stando a quanto rilasciato dalla stessa, non aveva portato a grandi cambiamenti né a dichiarazioni di una certa importanza: entrambi, infatti, avrebbero ammesso di non avere nessuna colpa in merito all’omicidio di Paolo Borsellino e che pertanto la verità non sarebbe mai emersa a galla.

Dichiarazioni forti, ma al tempo stesso difficili da accettare, soprattutto per una donna che, dopo 25 anni, è ancora alla ricerca della verità, una verità che rischierebbe di far ancor più male, è vero, ma che è diventata di vitale importanza, non solo per la famiglia Borsellino ma per tutto il Paese.

Adesso, a distanza di qualche mese, la richiesta di un nuovo incontro, che non è stato ancora rifiutato in maniera ufficiale (l’ultima parola spetta al ministro della Giustizia), sebbene dalle procure di Palermo e Caltanissetta e dalla Dda trapeli un certo dissenso al riguardo. Per questo motivo, la Borsellino ha deciso di scrivere ed inviare una lettera ai due boss, una lettera nella quale afferma ancora una volta che “può vivere e morire con dignità anche chi è capace di riconoscere il male che ha inflitto”, e può riparare al danno causato dando “un contributo concreto per la ricerca della verità; un contributo di onestà che gli uomini della criminalità organizzata devono dare principalmente a loro stessi, perché chi uccide, uccide la parte migliore di sé”. “E poi – continua la Borsellino – soltanto contribuendo alla ricerca della verità, i figli potranno essere orgogliosi dei padri”.

Insomma, dalla lettera emerge un desiderio di speranza affinché qualcuno parli una volta per tutte, solo che a mettersi di traverso, questa volta, sembra essere lo Stato stesso: il fatto che la legge preveda modi e vie diverse per collaborare con la giustizia (come è giusto che sia, precisiamo) non implica che la figlia di un magistrato ucciso dalla mafia non possa incontrare gli autori dello stesso omicidio; al contrario, sembra evidente come la richiesta della Borsellino appaia del tutto logica, comprensibile a chiunque proprio perché è una persona direttamente interessata dall’intera vicenda.

Fiammetta Borsellino ha inoltre affermato che la sua richiesta nasce come un fatto strettamente personale: «Ho sentito la necessità, in quanto figlia di un uomo che ha sacrificato la propria vita per i valori in cui ha creduto e per amore della sua terra, di dovere attraversare questo ulteriore passaggio importante per il mio percorso umano e per l’elaborazione di un faticoso lutto».

Ecco, quindi, perché crediamo che tale richiesta debba quantomeno essere ascoltata: il silenzio delle istituzioni non fa altro che peggiorare la situazione. Alla famiglia Borsellino si deve maggiore ascolto e rispetto. Perché mai rimandare tale decisione? E, nell’eventualità che questa decisione sia negativa, quale sarebbe la motivazione reale? Quali sarebbero i rischi? Difficile credere che un incontro del genere possa portare a problemi di inquinamento e depistaggio. In che modo?

Si tratta semplicemente di rispettare la sofferenza, il dolore e il desiderio di verità e giustizia di una figlia che ha perso il padre che ha scelto di lottare fino alla fine per aiutare il proprio Paese a liberarsi dall’oppressione mafiosa. Rifiutare la richiesta di Fiammetta Borsellino sarebbe un errore, anche simbolicamente pericoloso, per la credibilità delle istituzioni e per la fiducia verso di esse.

Giovanni Dato -ilmegafono.org