È un’infanzia rubata quella vissuta dai bambini Yezidi nei campi profughi del Kurdistan iracheno. Gliel’ha rubata l’Isis con il genocidio che ha aperto uno squarcio nella storia, nel 2014, e continua a rubargliela anche adesso, con la complicità della Turchia che mina ulteriormente la regione del Kurdistan. Le famiglie nei campi profughi di Duhok stanno lottando per sfamare i propri figli, colpite sia della pandemia sia da una crisi economica che, secondo le Nazioni Unite, sta spingendo milioni di persone verso la povertà in tutto l’Iraq. È per questo che ora molte di quelle famiglie stanno abbandonando le loro tende e tornando a Shingal, luogo dei loro incubi. “Alcuni padri di questi bambini sono combattenti. Sentono di dover tornare lì per difendere ciò che resta della loro casa, per difendere la gente rimasta, quella fetta di popolazione ora sotto attacco da più fazioni”.

È quanto ci racconta un giovane Yezida che vive nei campi profughi del governatorato di Duhok, e aggiunge: “I bambini non hanno scelta, devono ovviamente seguire i loro genitori, ritornare lì dove più di tre volte la settimana avvengono attacchi di ogni tipo e da ogni angolazione. Tra le milizie islamiste, la Turchia con la sua guerra contro il PKK. Non capiamo più nulla e non c’è più un posto sicuro”.
Due dei bambini ora ritornati a Shingal li avevo conosciuti, con gli occhi sognanti, la musica nel cuore. Amavano suonare e cantare: “Speriamo di diventare dei musicisti un giorno”, mi avevano detto. Ora i loro sogni si fanno un po’ più difficili. Eppure è solo la dimostrazione di come sulla pelle degli innocenti si consumino ancora guerre tenute a sedere in un angolo di silenzio internazionale.

A questi bambini è stato tolto tutto per ben due volte. A questi bambini è stata messa di fronte la guerra, la becera violenza dell’ISIS, le bombe che non li fanno dormire la notte, la povertà che dilaga a macchia d’olio. “A volte i nostri figli vanno a dormire senza aver mangiato nemmeno un boccone”, racconta una madre che vive nei campi profughi di Duhok. “Se vogliamo tornare a Shingal? È la nostra città – aggiunge – ma non la scelta migliore. Eppure non abbiamo scelta”.

Il Kurdistan è una terra che galleggia sul petrolio, lo stesso per i quali gli Stati ora si contendono ogni angolo del territorio, lo stesso per i quali la Turchia pianifica progetti di costruzione di strade che fungano da filotrasmettitore dei propri interessi economici. Il mondo guarda al Covid, l’Europa nascosta dietro mascherine continua la sua marcia di rapporti economici con potenze, come la Turchia, che stanno mettendo in ginocchio intere popolazioni. Così, mentre qui ci sentiamo soffocare per delle prescrizioni di sicurezza, in Kurdistan la popolazione che vive nei campi profughi non ha più sicurezza alcuna e spesso abbandona quelle flebili certezze per tornare in un territorio minato, ai resti delle loro case, Insieme a loro anche piccole vite che non avrebbero mai dovuto subire sulla propria pelle gli orrori di una guerra così grande, così taciuta. Ora, quegli stessi bambini ritornano a Shingal, ad essere vittime di crimini che restano impuniti.

Rossella Assanti -ilmegafono.org