I codici di mafia e la reazione dell’antimafia: è questo il cuore dell’evento organizzato dal Centro Studi Pio La Torre in occasione del progetto educativo intitolato “Linguaggi di mafia e antimafia e i rapporti con i media”. Nel corso di una videoconferenza organizzata lo scorso lunedì, alla quale hanno partecipato diversi studenti di tutta Italia, il tema principale che si è voluto affrontare è stato proprio questo: come comunica la mafia? I ragazzi di oggi sono del tutto indifesi nei confronti dei codici utilizzati dalla mafia? E l’antimafia, di rimando, cosa può fare? Come riportato da Antimafiaduemila, nel corso dell’evento sono intervenuti diversi esponenti della società civile, tra cui Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana; Vito Lo Monaco, presidente dello stesso Centro Studi Pio La Torre; Salvatore Di Piazza, docente di Scienze umanistiche presso l’Università di Palermo.

A proposito dell’importanza della comunicazione (soprattutto al giorno d’oggi), lo stesso Giulietti, nel corso del suo intervento, ha fatto appello alla dignità di chi, nello Stato e nei media, comunica, “che vuol dire anche usare le parole con sobrietà, rispettando quella lezione di verità che ci hanno lasciato i giornalisti uccisi dalla mafia”. Una dignità e una sobrietà che invece mancano ai boss di mafia, protagonisti di linguaggi comunicativi tipici dell’ambiente mafioso. “La mafia – ha aggiunto il professore Di Piazza – soffre un certo bipolarismo: essendo un’organizzazione segreta e criminale deve nascondersi, ma allo stesso tempo essere riconoscibile per non perdere la propria aura di potenza”.

Questo bipolarismo porta quindi alla necessità di usare un linguaggio allusivo, in grado di alimentare non solo “una certa aura di mistero”, ma anche di trasmettere quella nota “capacità persuasiva della mafia nel suo porsi da risolutrice di problemi endemici, un Antistato in grado di sostituirsi allo Stato inefficiente”. In tutto questo, quindi, la domanda sorge spontanea: cosa ne è dei ragazzi? Come possiamo difenderli da questi codici di mafia sempre più ricercati? L’utilizzo sempre più frequente dei social, infatti, porta questa parte della popolazione ad essere maggiormente esposta e più vulnerabile e, quindi, a cadere in una spirale di disinformazione e stereotipi pericolosi da cui bisogna allontanarsi il più possibile.

“La mafia invincibile e lo Stato che arranca? Ecco, questi sono altri stereotipi dovuti a certi episodi di collusione che comunque sono stati denunciati”, ha affermato il professore Antonio La Spina, docente alla Luiss di Roma. Ed è proprio a questi che bisogna far fronte, tra le altre cose. Come? “In tema di linguaggio – ha concluso La Spina – oltre alla necessità di un lessico tecnico, come quello usato nelle sentenze o nelle interdittive antimafia, serve che lo Stato sia in grado di parlare alla cittadinanza, suscitando un elemento di adesione alla lotta. Contro la mafia ognuno di noi può fare tanto”.

Un problema, questo, che dimostra come il rischio di una “liberalizzazione”  incontrollata della questione mafiosa rischi di peggiorare la situazione e di offrire un futuro sempre meno roseo a chi questo futuro ha il diritto di costruirselo nella totale libertà e pienezza. Maggior vicinanza da parte delle istituzioni, quindi, e una consapevolezza da approfondire in maniera sistematica ed endemica. In questo, sicuramente, le scuole e i centri formativi possono far tanto, ma così dovrebbe essere anche per gli organi di stampa e di comunicazione in generale. Comunicazione, appunto: oggi più che mai, in una società sempre più fluida e rapida, tutto ciò diventa imprescindibile. Per questo è necessario comunicare con onestà e trasparenza ed evitare che il linguaggio allusivo tipico degli ambienti mafiosi attecchisca ulteriormente.

Giovanni Dato -ilmegafono.org