“In Abruzzo l’aria ha un sapore diverso. Nutrita di rupi e sassi, di radure e boschi, di laghi e ruscelli e torrenti e fiumi, l’aria ha uno scatto, un’elasticità di muscoli, una pungente, tagliente acredine che sa di spazi nordici, di scoscese dimore montane”. Così definiva l’Abruzzo lo scrittore e critico letterario Giorgio Manganelli. Ed è proprio sull’Abruzzo, che nel 2020, la Direzione Investigativa Antimafia, attraverso una relazione presentata in Parlamento, si è concentrata, definendo la regione “apprezzabile terra di approdo” per alcuni clan camorristi (Contini, Amato-Pagano, Moccia), per la mafia pugliese, siciliana e calabrese e per alcuni clan foggiani, che si uniscono e fanno affari con la criminalità locale. L’Abruzzo è zona di riciclaggio, traffico e spaccio di stupefacenti e di mafia dei pascoli, da cui le organizzazioni criminali, accumulano ingenti ricchezze.

Accanto alla mafia di casa nostra si aggiungono i gruppi criminali slavi e albanesi, famiglie di etnia rom come gli Spinelli, i Ciarelli, i Di Rocco e la mafia nigeriana che fa capo alla potente famiglia degli Eiye. Montesilvano, Pescara, San Salvo, Chieti, Vasto diventano territori controllati dal clan dei casalesi o, come nel caso di Pescara e provincia, dai “famosi” Casamonica, che dalla molisana Campobasso, dopo aver messo le mani su Roma, sono approdati anche in Abruzzo. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, l’Abruzzo è diventato “isola felice di mafia e ‘ndrangheta”. Esemplificativo di ciò è un quartiere di Pescara: Rancitelli. Vero nome “Villa del fuoco”, dove droga, degrado, clientelismo e favori in cambio di voti sostituiscono lo Stato di diritto.

Francesca Di Credico, che della situazione di Rancitelli si è occupata, anche attraverso un’associazione volta a far rinascere il quartiere, denuncia (sulle pagine di abruzzocityrumors.it) come la situazione peggiore sia quella del Ferro di Cavallo di via Tavo, dove esiste una mafia per lo spaccio di droga e la gestione di gang criminali. “Sotto il Ferro di Cavallo – denuncia – c’è un viavai costante di tossicodipendenti che fanno la fila per comprare la dose; ai Palazzi Clerico si spaccia cocaina, e si vede anche dalle belle auto che sfilano; dall’altro lato c’è il mercato dell’eroina aperto h24. Veniamo poi al comparto adiacente i Palazzi Clerico e dove c’è un accampamento di tossicodipendenti stanziali; inutile sgomberarlo, tornano dopo pochi minuti. La via Tiburtina è diventata la nuova ‘via della prostituzione’, le ragazze lavorano per quelli che spacciano droga. Via Lago di Capestrano è militarizzata dalla criminalità con due circoli privati e un bar, nati all’interno di spazi al pianterreno di proprietà dell’Ater, non si sa in base a quale bando o graduatoria. In via Lago di Borgiano ci sono altri accampamenti e in via Sacco c’è un’infinità di ruderi e terreni abbandonati, anch’essi occupati da tossicodipendenti. Stessi problemi in via Nora, via Trigno, via Tronto e via Alpi”.

Nel 2020 è partita l’operazione “Araneo”, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, che ha colpito, attraverso numerosi arrestati e indagati, tre regioni: Puglia, Abruzzo e Molise. Secondo l’ultimo Rapporto Nazionale di Libera, nell’ultimo biennio, il numero delle interdittive antimafia in Abruzzo emesse dalle prefetture nei confronti di aziende controllate o condizionate dalle organizzazioni criminali è aumentato del 71%, collocandosi al nono posto tra le regioni italiane, a fronte di una media nazionale del 33%. L’Abruzzo è, inoltre, maglia nera sulla trasparenza dei fondi delle spese fatte durante l’emergenza da Covid-19. Se aggiungiamo la presenza delle organizzazioni criminali per la ricostruzione, dopo il terribile terremoto che ha sconvolto la regione nel 2009, la situazione si fa davvero inquietante.

Pensare che ci siano regioni esenti dalla presenza della criminalità organizzata non può più essere tollerabile. Tanti anni fa si pensava che la mafia sarebbe rimasta confinata in Sicilia. E che la camorra e la ‘ndrangheta non sarebbero uscite dalla Campania e dalla Calabria. Poi ci siamo accorti che non era così. Un intellettuale che aveva visto tutto per tempo è stato Leonardo Sciascia: grande scrittore e lucido pessimista, capace di guardare lontano.

Giampaolo Pansa intervistò Sciascia nel 1970 e in un articolo pubblicato nel 2008 per il settimanale “L’Espresso” scrisse queste parole: “La prima volta che mi capitò d’intervistarlo fu per ‘La Stampa’ di Alberto Ronchey. Il direttore voleva pubblicare un colloquio con lo scrittore a proposito della mafia. E mi mandò in Sicilia. Era l’ottobre del 1970, trentotto anni fa. Andai a trovare Sciascia a Palermo. Tra le verità che mi offrì, una soprattutto mi colpì per la carica profetica. Lo scrittore mi domandò: ‘Conosce la teoria della palma?’. Ammisi di no. Lui proseguì: ‘Secondo una teoria geologica, per il riscaldamento del pianeta la linea di crescita delle palme sale verso il nord di un centinaio di metri all’anno. Per questo motivo, fra un certo numero di anni, vedremo nascere le palme anche dove oggi non esistono’. Gli chiesi: ‘Che cosa c’entrano le palme con la mafia?’. Sciascia sorrise: ‘Anche la linea della mafia sale ogni anno. E si dirige verso l’Italia del nord. Tra un po’ di anni la vedremo trionfare in posti che oggi sembrano al riparo da qualsiasi rischio”.

Non possiamo far finta di nulla. Bisogna denunciare, non stancarsi di farlo. A costo di apparire ripetitivi e petulanti. “L’Abruzzo è un grande produttore di silenzio”, continuava ancora Giorgio Manganelli. Su questo tema, il silenzio è l’alleato ideale dei mafiosi.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org