La cronaca è quella di un pomeriggio qualsiasi, uno di quelli nei quali le città vivono il loro ritmo quotidiano. La cronaca è quella di due uomini, più o meno giovani, che scendono da una moto, entrano dentro un cortile con fare sospetto, girano un angolo. Scompaiono. Pochi minuti e riappaiono. Salgono in sella al motore e vanno via. Hanno aperto un piccolo box. Un box non di loro proprietà. È la scena tipica di chi ha trasformato i quartieri in luoghi di spaccio e utilizza qualsiasi anfratto come deposito. Spesso sfruttando l’impotenza di chi ha intuito qualcosa, ma non può farci nulla. Se non avvisare le forze dell’ordine e aspettare le dinamiche particolari dei reparti antidroga.

Che sanno ma aspettano, poiché monitorano, registrano qualsiasi movimento, segnano volti, nomi, cognomi, abitudini, seguono il percorso della droga e poi, al momento buono, tirano la rete e catturano decine di pesci più o meno piccoli. Come avvenuto a Palermo, dove nella rete è finito un pezzo di quel sistema che riforniva le narici della cosiddetta “Palermo bene”. La stessa che prima sniffa e poi magari, un attimo dopo, si lamenta della poca sicurezza o inveisce contro i migranti e pontifica sul decoro urbano. Perché è questo il tempo che stiamo vivendo.

Un tempo narcotizzato, inquinato da una società narcotizzata, nella quale la droga è un mercato florido e in espansione. Un virus letale che miete vittime e avvelena orde di ragazzini sempre più spinti verso il consumo di sostanze pesanti, un mercato fiorente che dà lavoro a migliaia di nullafacenti o, talvolta, di disperati. È il vero reddito di cittadinanza che esiste da tempo e che non prevede requisiti particolari, non fa distinzioni di età, razza, provenienza sociale. Spacciare, fare i corrieri, diventare vedette o custodi, offrire un proprio luogo come deposito: ci sono molti lavori che le mafie offrono e pagano. Ed è il motivo per cui la povertà vera la vivono in pochi, ossia tutti quelli che vogliono rimanere onesti ad ogni costo e che, piuttosto, se ne vanno a fare qualunque lavoro, in campagna come in edilizia, nei ristoranti come nelle ditte di pulizia o nei bagni pubblici.

E tra questi onesti lavoratori una buona parte, pensate, è costituita da migranti. Stranieri. Quelli che, nella logica spugnosa e lercia del pensiero dominante, sono invece considerati il pericolo, la delinquenza. L’insicurezza trasformata in carne ed ossa. Gli stranieri. L’altro, il colpevole per eccellenza, la causa delle paure tremende di un popolo che sembra quasi che, prima che il numero dei migranti (americani, africani, europei, asiatici) arrivasse all’8’5% della popolazione italiana, vivesse nell’Eldorado, in un mondo fiabesco e puro. La stessa Italia delle quattro mafie delle quali non si parla più. L’Italia delle stragi, dei morti innocenti, delle sparatorie per strada, delle bombe ai negozi che scandivano le notti di numerose città. L’Italia del piombo e delle bombe del terrorismo. Ma soprattutto, l’Italia della droga, dell’eroina che spazzava via le generazioni.

L’Italia che puoi vedere ogni giorno, in un normale pomeriggio, girando la città, i centri e alcune periferie dimenticate. Due uomini che prelevano le dosi da portare nella piazza di spaccio vicina. Zone franche dello Stato, che pure ci passa in quelle vie e a volte ha perfino uffici. Zone costellate da casotti di lamiera, dentro i quali, oltre alla droga e alla refurtiva di ogni tipo, ci sono animali tenuti in condizioni non regolari e chissà cos’altro. Li vedi passando per le strade, ai piedi di palazzi degradati dei quali mai nessuno ha pensato di occuparsi davvero, se non in campagna elettorale. Ma non solo nelle periferie ci sono i resti malconci di una civiltà abbandonata. Anche nei centri storici, nei paraggi dei monumenti, nelle zone coccolate come salotti delle città.

Basta passarci a qualsiasi ora e accorgersi di vedette instancabili, di movimenti che non sono nemmeno sospetti, tanto evidente è quel che suggeriscono. Vie nelle quali, quando ci entri, ti trovi gli occhi addosso dei soliti guardiani seduti nella solita sedia o di commercianti abusivi che espongono sfrontatamente merce di ogni tipo, una forma banale di copertura. Tutto nel cuore di una città europea, nell’anno 2019. Una città nella quale la mafia la vedi ed evidentemente non fa paura, non crea insicurezza al popolo bue, tutto impegnato a scagliarsi contro i migranti. Un popolo che alla mafia bacia le mani, ne accetta presenza, controllo, dominio, accetta il veleno e la merda che i clan infilano nella gola, nei polmoni, nel naso e nelle vene dei ragazzi.

Un popolo che ulula contro il migrante e al massimo contro il piccolo spacciatore, ma poi lascia intere strade e interi quartieri in mano ai potenti. A quelli contro i quali non vi è resistenza, ma vi sono solo silenzio e una summa di occhi bassi. Questa è una società narcotizzata e nulla più. Narcotizzata nei pensieri, drogata da una propaganda che fa un favore alle mafie spostando l’attenzione sui disperati e proponendo finte, inutili e ridicole misure contro il traffico di stupefacenti. Una società narcotizzata anche nei corpi, nel sangue, nelle membra, per via dei consumi spaventosi di droga, a tutti i livelli.

Davanti a questo non esistono ricette politiche moderate. Non esistono opposizioni culturali morbide. Le zone franche sono il segno peggiore che un Paese può dare. Sono il segno di una debolezza che il cittadino contribuisce a creare andando dietro a chi sostiene che le priorità sono altre. Un cittadino narcotizzato. Che le mafie non le accusa né le respinge più e si crogiola nella sua comoda impotenza. Cittadino di città che vivono il loro quotidiano, immerse in una normalità surreale, dove la cronaca scompare nel fango maleodorante di una bruttezza sommessamente e vigliaccamente accettata.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org