La morte di un uomo politico che sembra legata a un rapporto carnale con una prostituta, ma che in realtà ha un’origine diversa. Chi ha portato il cadavere in un luogo dove l’amore si paga ha costruito una scena per il suo rinvenimento con una tale meticolosità da camuffare ad arte i fatti dando loro una forma diversa, come quella assunta con naturalezza dall’acqua in un contenitore. Ma alla fine la verità verrà fuori, e tutte le persone implicate, familiari e uomini politici, pagheranno un prezzo. Era il 1994, la Sicilia aveva alle spalle le ultime due stragi di mafia, divenute le più famose: Capaci e via D’Amelio. Prima c’erano state, per citare alcuni luoghi simbolo, quella di viale Lazio o quella di via dell’Iris, oppure quella di Gela, o quella di Pizzolungo. Sono solo alcune, e tutte hanno un comune denominatore: la mafia. Nel 1994 la Sicilia era ancora, e con un peso maggiore, la terra degli omicidi di mafia: si giravano film e si scrivevano libri con l’ombra lunga dei mammasantissima, e se quell’ombra non c’era facevano fatica a farsi notare. Perché il vento tirava da quella parte.

Poi, finalmente, arrivò “La forma dell’acqua”. “Camilleri ci ha ridato la possibilità di un nuovo racconto della Sicilia”: sono le parole di Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore siciliano la cui popolarità nell’ultimo periodo si è letteralmente impennata grazie ad una serie televisiva – andata in onda sulla tv generalista – legata ai suoi romanzi seriali ambientati in Sicilia, una fiction in merito alla quale però ha scelto di non partecipare alla sceneggiatura apprezzandone comunque gli inevitabili “tradimenti”, cioè i modi diversi di mostrare il suo racconto. “Perché io faccio farina – ha spiegato – e poi chi la compra fa il pane come vuole”.

Parlando di “Màkari”, cioè quella serie tv, e dei romanzi dai quali deriva, e quindi le storie incentrate sui meravigliosi personaggi di Saverio Lamanna e Peppe Piccionello, con Savatteri ci siamo soffermati sugli aspetti letterari della Sicilia e su quell’eredità in parte televisiva lasciata da Camilleri che lui avrebbe raccolto o che dovrebbe raccogliere. Al di là dei giudizi sui suoi libri e sul suo modo di raccontare l’Isola, Savatteri ha spiegato perché quello del padre del commissario Montalbano è stato un contributo per la Sicilia e i siciliani che va molto oltre l’aspetto puramente letterario. Le sue parole sono state una piccola lezione di letteratura mescolata alla sociologia.

“In Sicilia non si poteva scrivere quasi nulla che non avesse a che fare con cosa nostra, perché stavamo dentro uno scontro violentissimo, con donne, uomini, medici, giornalisti ammazzati: c’era una guerra civile a bassa intensità che naturalmente ci imponeva di fare una letteratura con l’elmetto, militante. Non si poteva ambientare a Palermo una storia che fosse d’amore, a meno che uno non scrivesse della figlia di un magistrato che si innamorava del figlio di un mafioso; e non potevi ambientare in Sicilia una storia d’amicizia, a meno che non fosse la storia del figlio di un poliziotto e del figlio di un mafioso che giocano insieme e poi da adulti si ritrovano sui versanti opposti: tutto era e non poteva che essere sotto forma di mafia o antimafia, di lotta alla mafia o di complicità con la mafia”.

“Nel 1994 – afferma Savatteri –  Camilleri scrive ‘La forma dell’acqua’, e crea un commissario e un ambiente dove la mafia c’è ma rimane sullo sfondo, e nel quale – come si legge dal risvolto di copertina – entra una Sicilia ‘normale’, dove ci può essere un delitto ‘normale’, un giallo ‘normale’. Partendo da questo possiamo considerare che Camilleri ci ha lasciato due cose importanti: una è la possibilità di creare racconti con delitti che non sono per forza legati alla mafia, l’altra è la possibilità di creare in questi racconti personaggi puramente siciliani, perché chi investiga nelle sue storie è di origine siciliana, come siciliani sono tutti quelli che gli stanno attorno. Perché queste cose sono importanti? Perché trent’anni prima, nel 1960, c’era stato un altro grande poliziesco, scritto da Sciascia, e cioè ‘Il giorno della civetta’, ma quello è un romanzo che finisce con il capitano Bellodi che non riesce a dimostrare e a trovare quella verità di cui il lettore è pienamente consapevole, cioè che i colpevoli sono i mafiosi della zona, e alla fine viene sconfitto e trasferito al Nord. E il capitano Bellodi è un uomo del Nord”.

“ In quarant’anni sono cambiate tante cose – continua lo scrittore siciliano – e cioè la crescita della consapevolezza che anche in Sicilia può esserci una possibilità di giustizia, e che a determinarla possono essere gli stessi siciliani: tutto questo rende verosimile un giallo come ‘La forma dell’acqua’ che quarant’anni prima sarebbe stato inverosimile, tanto è vero che Calvino scriveva a Sciascia dicendogli ‘caro Sciascia hai fatto un giallo non consolatorio perché in Sicilia la giustizia è impossibile, e il tuo romanzo lo dimostra’. È successo in quarant’anni, e per merito chiaramente non di Camilleri ma del maxiprocesso, di Falcone, di Borsellino e di tutti quelli che sono stati ammazzati o che sono riusciti a non farsi ammazzare, tantissimi poliziotti, carabinieri, cittadini semplici che hanno combattuto con le armi della civiltà la lotta alla mafia e che hanno potuto consegnare la possibilità di una narrazione completamente nuova della Sicilia”.

“ Una possibilità – conclude Savatteri – che Camilleri ha raccolto e che ci lascia, e che oggi consente a me di scrivere ‘Màkari’ e a tantissimi altri scrittori di creare storie che non hanno più per forza quella premessa obbligatoria che farebbe dire scusate se in Sicilia vi parlo del sole, dei fiori, di amore, di amicizia, perché in Sicilia dovrei parlare della guerra che c’è in corso”.

Abbiamo discusso poi di tante altre cose, con Savatteri. Di argomenti come la fuga dei giovani siciliani e il richiamo di una terra che non smette mai di farsi amare, oppure del fascino del noir, o, ancora, della sua capacità di autore di creare gialli “dal plot debole” ma con un’anima scintillante in grado di indagare i fatti degli uomini in un modo tutto suo, e certamente unico. Tutto questo, però, è altro, ed è passato su un piano diverso: l’eredità di Camilleri, raccolta dalla somma delle vittorie di Falcone e Borsellino, di Livatino e Boris Giuliano, di Pino Puglisi e Peppino Impastato, è un argomento a sé che in Sicilia puoi quasi respirare, e puoi portarlo in giro fuori dall’Isola come un fiore fra i denti.

Seba Ambra -ilmegafono.org