Quando un ministro piange davanti all’approvazione di una legge, meglio non fidarsi. Non cedere alla pietà. Perché ogni lacrima che scende dal viso di un rappresentante del governo non promette mai nulla di buono. Dopo le lacrime, infatti, spesso arriva il sangue, arrivano i sacrifici o le beffe. Ci eravamo già passati con Elsa Fornero e con quelle misure che hanno prodotto conseguenze drammatiche sul tema delle pensioni. Ci siamo caduti nuovamente lo scorso anno, in piena pandemia, quando la ministra Teresa Bellanova, titolare delle Politiche Agricole, aveva annunciato in lacrime il decreto che prevedeva la sanatoria per i lavoratori stranieri impiegati nell’agricoltura e nel lavoro domestico. Un provvedimento che, nella forma in cui era stato proposto, nasceva già monco e animato da una spiacevole logica di fondo, quella di considerare i migranti titolari di dignità e diritti solo quando possono essere forza lavoro.

Il finale di quel dibattito fu persino più orribile, perché la sanatoria escludeva tutta una serie di settori, come edilizia e logistica ad esempio, nei quali lo sfruttamento, il lavoro nero e quello grigio sono ugualmente feroci. Ma il punto fondamentale, che era stato sollevato da chi non si fidava delle lacrime e delle trionfali parole della Bellanova, è che questo provvedimento era solo un modo per dare le briciole ai lavoratori stranieri e per aiutare soprattutto le imprese. Imprese che chiedevano aiuto, vista la penuria di manodopera a causa della pandemia che impediva o rendeva difficili gli spostamenti degli stagionali. Peccato, però, che la gran parte di loro ha poi continuato a operare nell’illegalità, facendo ampio uso di caporali, manodopera a basso costo, contratti farsa. Con l’aggravante che questo tipo di provvedimento, per la parte nella quale l’imprenditore era fondamentale per la richiesta di regolarizzazione, ha aumentato il potere di ricatto nei confronti dei lavoratori.  Infine, al caporalato, all’intermediazione illecita, a tutto quel sistema marcio di sfruttamento bestiale che è radicato nelle campagne (e non solo) questa misura non ha fatto neppure il solletico.

Quando queste cose venivano dette e scritte, quando alcune associazioni e qualche sigla sindacale che ancora vive nel mondo reale sottolineavano l’inadeguatezza di una sanatoria con tutti questi paletti e meccanismi a svantaggio dei migranti lavoratori, in pochi ascoltavano. Tutti parlavano delle lacrime della ministra, di una svolta epocale, di diritti riconosciuti, sbandierando il trito ritornello del “meglio di niente”. Chissà in quanti avevano letto il provvedimento e in quanti conoscevano davvero il mondo della burocrazia connesso ai migranti. Una burocrazia sfiancante, inceppata, lenta, spesso oggetto dell’arbitrarietà di funzionari delle questure e delle prefetture, che, quando si tratta di meccanismi di riconoscimento dei diritti a un migrante, diventano campioni di interpretazioni fantasiose, talvolta animate da pregiudizi razziali o ideologici. Era immaginabile che la sanatoria, concepita in questo modo, non avrebbe avuto effetti particolarmente positivi.

A un anno dalla sua approvazione, infatti, come denunciano i fautori della campagna “Ero Straniero”, il flop è evidente, tangibile, misurabile e mette in luce tutti quei difetti che erano stati sottolineati. Già dal dossier pubblicato a marzo da “Ero Straniero”, che ha analizzato i dati del ministero dell’Interno, delle prefetture e delle questure nei diversi territori, era emerso uno scenario preoccupante soprattutto per la parte della legge che prevede la richiesta fatta dal datore di lavoro, “con ritardi gravissimi e stime dei tempi di finalizzazione delle domande improbabili, di anni se non decenni”. Si legge nel dossier che, a fronte delle 207.000 domande presentate al 31 dicembre 2020, in tutt’Italia erano stati rilasciati “solamente 1.480 permessi di soggiorno, lo 0,71% del totale”. A metà febbraio 2021 risultava che solo il 5% delle domande era arrivato nella fase finale della procedura, mentre il 6% era ancora fermo alla fase precedente della convocazione di datore di lavoro e lavoratore per la firma del contratto in prefettura e il successivo rilascio del permesso di soggiorno.

Come denunciava il dossier, in circa 40 prefetture, distribuite su tutto il territorio, non risultavano nemmeno avviate le convocazioni, mentre le pratiche erano “ancora nella fase iniziale di istruttoria”. Dati questi che raccontavano come 200.000 persone fossero sospese, in attesa di sapere se la propria domanda sarebbe andata a buon fine. Una situazione legata alla lentezza disarmante di questure e prefetture. Un po’ meglio, invece, il secondo canale della legge, quello che “prevedeva che – in caso di precedenti esperienze lavorative nei settori interessati dalla misura – fosse il lavoratore, e non il datore di lavoro, a chiedere direttamente alla Questura un permesso di soggiorno temporaneo”. Il 68% (circa 8800) delle 12.986 domande presentate si erano trasformate in permessi di soggiorno temporanei, Di questi, 346 sono stati successivamente convertiti in permessi di soggiorno per lavoro. Tuttavia, questa procedura, con criteri molto restrittivi, ha scoraggiato l’invio di molte domande, rivelando la sua fragilità.

Dopo le denunce di “Ero Straniero”, qualcosa oggi si è sbloccato, ma siamo sempre molto indietro. Attualmente, le domande esaminate sono salite al 12,7%, quelle che hanno avuto esito positivo sono salite dal 5 all’11% del totale delle istanze presentate. Siamo ancora a numeri bassissimi, numeri che certificano esclusione, assenza di diritti, storture burocratiche, impossibilità di accedere a servizi essenziali. Numeri che nascondono storie di esclusione drammatica. C’è chi è stato ricattato dal datore di lavoro con la promessa di presentare prima o poi la domanda, c’è chi è stato licenziato e c’è chi continua a lavorare in nero. C’è chi è ostaggio di quella domanda presentata e, nell’attesa dell’esito, non può fare nulla se non continuare a lavorare da schiavo. Inoltre, va sottolineato che le domande sono molte meno del numero dei lavoratori sfruttati in agricoltura e negli altri settori non toccati dalla sanatoria. Tutto questo produce conseguenze tragiche.

Gli invisibili rimangono invisibili. Perché senza un documento di soggiorno non si può ricevere la tessera sanitaria e questo, soprattutto in piena pandemia, crea rischi per i lavoratori. “È fondamentale – si legge nel dossier – che il maggior numero di persone in possesso dei requisiti venga regolarizzato il prima possibile ed esca dall’invisibilità, in modo da poter garantire una più efficace programmazione vaccinale e una quanto più ampia copertura della popolazione”. Insomma, un disastro. La verità è che, quando le decisioni provengono dal potere, alla fine a piangere si ritrovano sempre gli ultimi, i dimenticati. Lo sfruttamento non si combatte con i proclami o con le lacrime di circostanza, con un po’ di colore da buttare sul grigio sgualcito di una indifferenza crudele e sporca, sulle vesti ruvide e nere dell’arroganza della burocrazia o dell’ignavia delle istituzioni nei diversi territori che compongono questa Italia conformista e strafottente. Unita contro i deboli, servile con i forti. Sempre.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org