Per quanto becero e pericoloso sia il “male puro”, ben peggiore e più dannoso è il male sotto mentite spoglie, travestito da bene. Così come una terapia errata risulta essere molto più dannosa della malattia che dovrebbe contrastare, analogamente le attività del cerchio magico di Silvana Saguto, con il suo consolidato sistema, hanno per certi versi saputo essere più dannose e  delittuose di quelle della stessa criminalità organizzata. L’ex presidente delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ed ex giudice (era stata infatti già radiata, in attesa di sentenza, nel 2019), insieme alla sua corte di “stimabili” professionisti, aveva infatti messo a punto un “sistema perverso e tentacolare” che gli consentisse di controllare, in modo improprio, criminale e notevolmente remunerativo, la gestione dei beni confiscati alla mafia che, sappiamo bene, è uno dei settori più delicati ed incisivi, un vero e proprio avamposto, della lotta al malaffare.

Il “sistema Saguto” è stato scoperto in seguito a delle indagini avviate nel 2015 dalla Procura di Caltanissetta, e sollecitate, quasi esclusivamente, dalle continue denunce pubbliche di Telejato, emittente televisiva, con annesso sito di informazione on line, di Partinico, diretta da Pino Maniaci. “Rivendichiamo con orgoglio – ha commentato la redazione siciliana – di avere scoperchiato questo pentolone al quale si abbuffavano senza ritegno giudici, avvocati, cancellieri, amministratori giudiziari, periti, collaboratori, parenti, amici vari, docenti universitari, commercialisti, prefetti, generali e militari vari, e un indistinto altro numero di persone sempre attente a dividersi briciole e piatti succulenti di imprenditori ai quali si faceva presto ad affibbiare l’etichetta di mafiosi per procedere al sequestro dei loro beni”.

Denunce che, è bene ricordare, non sono state esattamente a buon mercato, poiché hanno attirato l’inimicizia della donna più potente di Palermo (così l’aveva definita Giancarlo Caselli) ed hanno, probabilmente, cagionato il fiume di accuse e la macchina del fango che ha investito qualche anno fa Pino Maniaci (finito sotto inchiesta per estorsione e poi assolto). Molteplici sono infatti le intercettazioni in cui una nervosa Silvana Saguto sollecita magistrati compiacenti ad occuparsi del giornalista, ricevendo, in risposta, rassicurazioni. Eppure, dopo cinque anni di indagini e tre di processo, è arrivato, per la Saguto e per molti dei suoi collaboratori, il giorno del giudizio. Lo scorso 28 ottobre, infatti, dopo cinque ore di camera di consiglio, il Tribunale di Caltanissetta l’ha condannata, in primo grado, a più di 8 anni di reclusione nonché al risarcimento di 500 mila euro alla Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile.

Una condanna di molto inferiore alle richieste avanzate dal pubblico ministero, in quanto sono venuti a cadere molti capi di imputazione tra i quali quello dell’associazione a delinquere. Il collegio giudicante ha infatti ritenuto che tutti i responsabili, tutti coloro che a diverso titolo prendevano parte alla distorta gestione dei beni confiscati, ponessero in essere delle condotte individuali. Sulla condanna si è espresso Pietro Cavallotti, uno dei tanti imprenditori vittima del sistema Saguto che si è detto tristemente insoddisfatto. “Per noi – ha dichiarato Cavallotti – questa non è giustizia. Potremo parlare di giustizia quando ci verranno restituiti i nostri beni”. L’imprenditore sostiene che la condanna purtroppo non risolve il problema della legge sulle misure di prevenzione che “fa acqua da tutte le parti”. “I problemi – ha aggiunto Cavallotti – rimangono per la mia famiglia e per tutti quegli imprenditori vittime di un ingiusto sequestro preventivo”.

A parlare di ingiustizia è anche la stessa Silvana Saguto che si è detta amareggiata nel vedere richiedere a suo carico una condanna molto simile a quella proposta per un mafioso del calibro di Giovanni Brusca. “Io – ha dichiarato la Saguto – trattata come un mafioso, anzi peggio di un criminale, non mi risulta di avere ammazzato nessuno”. Eppure, dall’alto della sua esperienza nell’ambito dell’antimafia, una esperienza che ora cerca di usare come scudo per difendersi dalle accuse, l’ex giudice dovrebbe ricordare che ci sono tanti modi di delinquere e che spesso il modo più efficiente è proprio quello che si aggiudica il potere non con le armi ma con i soldi e i sistemi illeciti.

Anna Serrapelle-ilmegafono.org