Del progetto “Mare Caldo”, realizzato da Greenpeace e dall’Università di Genova, vi avevamo parlato tre mesi fa, quando i risultati delle rilevazioni fatte al largo dell’Isola d’Elba avevano mostrato un aumento delle temperature delle acque marine (leggi qui). A distanza di pochi mesi si allarga la rete delle aree marine coinvolte dal progetto. All’Isola di Elba si sono aggiunte altre quattro aree marine protette: il Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara – Villasimius, Tavolara – Punta Coda Cavallo in Sardegna e Portofino in Liguria. L’’obiettivo è quello di monitorare gli impatti dei cambiamenti climatici e nel frattempo sviluppare una rete che possa verificare cosa accade nei mari italiani.  Dopo il mare di Elba e quello di Portofino, Greenpeace annuncia di aver svolto i primi monitoraggi nell’Area Marina Protetta del Plemmirio, splendido tratto di costa davanti a Siracusa, la più meridionale del progetto.

I monitoraggi sono stati svolti insieme ai ricercatori del DiSTAV dell’Università di Genova e hanno rilevato a metà settembre “temperature medie intorno ai 25 gradi centigradi fino a 25 metri di profondità e un ambiente ricco di specie termofile, cioè specie tipiche di ambienti più caldi”. “Sebbene meno evidenti rispetto alle altre aree già studiate dal progetto Mare Caldo – afferma Greenpeace – anche nel Plemmirio si possono osservare i primi impatti dell’aumento delle temperature. In particolare, lo sbiancamento di alcune alghe corallinacee incrostanti in tutti i siti monitorati tra i 6 e i 30 metri di profondità, l’assenza del grosso bivalve Pinna nobilis, colpito anche qui negli anni passati da una moria di massa, e l’abbondanza di specie termofile, la cui presenza, normale in queste aree più meridionali, si sta facendo sempre più massiccia con il rischio di alterare gli equilibri della biodiversità”.

A preoccupare gli studiosi è anche l’ampia presenza dell’alga verde Caulerpa cylindracea, una specie aliena di origini australiane, che al Plemmirio “è arrivata a ricoprire quasi totalmente i fondali dai 20 ai 40 metri”. Altrettanto preoccupante è la presenza del vermocane, un verme urticante “che negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale, particolarmente abbondante negli strati più superficiali ma presente fino ai 40 metri di profondità”. I ricercatori hanno rilevato inoltre un aumento in numero e dimensioni del pesce pappagallo e l’avvistamento per la prima volta in zona A della AMP di pesci flauto, specie aliena originaria del Mar Rosso, da alcuni anni presente nei mari siciliani.

“I dati ad oggi raccolti – conclude Greenpeace – confermano che i nostri mari stanno cambiando a causa dell’aumento delle temperature, e che i cambiamenti climatici acuiscono la crisi di un ecosistema già sotto pressione. Non c’è più tempo da perdere, se da un lato è fondamentale un taglio netto delle emissioni di gas serra, dall’altro è necessario rafforzare e ampliare la rete di aree protette in linea con l’impegno preso dall’Italia di tutelare il 30% dei propri mari entro il 2030: solo tutelando le aree più sensibili potremo permettere ai nostri mari di adattarsi e sopravvivere a un cambiamento che è già in atto”.

Redazione -ilmegafono.org