Sono passati ventisette anni. Era il 1993. L’anno dell’insediamento alla Casa Bianca di Bill Clinton, dello scioglimento della Democrazia Cristiana, l’anno del governo Ciampi e della manifestazione di protesta, con lancio di monetine, contro Bettino Craxi, davanti all’hotel Raphael a Roma. È anche l’anno di nascita dell’Unione Europea, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, ed è l’anno dell’arresto di Totò Riina dopo 24 anni di latitanza. Un periodo anche tragico e carico di tensioni, di ombre oscure, di possibili “trattative”, di minacce, di pericolo per la democrazia e la vita dello Stato: l’anno della strage di via dei Georgofili a Firenze, con cinque morti e trenta feriti, della strage di via Palestro a Milano, con cinque morti e dodici feriti, degli attentati a due chiese di Roma, San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Tutte stragi eseguite da uomini di cosa nostra e ordinate o commissionate da mafiosi e da chissà quali oscuri poteri.

Il 14 maggio di quello stesso anno è il giorno dell’attentato al giornalista Maurizio Costanzo, con l’esplosione di un’autobomba in via Ruggero Fauro, che causò ventiquattro feriti e il danneggiamento di almeno quattro palazzi. Il giornalista, morto a Roma il 24 febbraio scorso, riuscì a salvarsi la vita per una pura casualità. Il pulsante del telecomando che avrebbe fatto saltare in aria Maurizio Costanzo, infatti, fu schiacciato con qualche istante di ritardo, in quanto ci si aspettava che il giornalista e conduttore televisivo viaggiasse su un’Alfa Romeo 164, mentre invece comparve una Mercedes blu, non blindata, alla cui guida era l’autista Stefano Degni e al cui interno sedevano, appunto, il presentatore e la sua compagna Maria De Filippi (che rimasero illesi), seguita da una Lancia Thema con a bordo le due guardie del corpo Fabio De Palo (rimasto ferito) e Aldo Re (che subì lesioni legate allo shock).

Ma perché quell’attentato? Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, Maurizio Costanzo si era impegnato in maniera attiva, con le sue trasmissioni, nel contrasto alle mafie, anche e soprattutto sul piano culturale. Nel 1991, dopo l’omicidio di Libero Grassi, al quale Costanzo diede ampio spazio sul palco del teatro Parioli, egli realizzò una maratona televisiva a reti unificate Rai-Fininvest, insieme a Michele Santoro, dedicata alla lotta alla mafia.

L’omicidio di Libero Grassi, che si era rifiutato di pagare il “pizzo”, aveva scosso le coscienze e l’opinione pubblica. Grassi aveva avuto il coraggio di opporsi alle richieste di racket  e di uscire allo scoperto, con grande esposizione mediatica. Nel gennaio 1991, il Giornale di Sicilia aveva pubblicato una lettera dell’imprenditore ai suoi estortori, nella quale ribadiva il suo rifiuto di cedere ai ricatti di cosa nostra. «Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui»-

Maurizio Costanzo fu sinceramente colpito da questo omicidio e, durante la famosa maratona televisiva, i toni furono forti, pungenti, (fu bruciata in diretta una maglietta con scritto “Mafia made in Italy”). In generale, nel Paese, la società civile si stava risvegliando su questi temi e stava cominciando a capire che le mafie non erano solo un problema localizzato in un determinato territorio, ma erano diventate (o, forse, erano sempre state) una questione nazionale. Questo fatto, unito all’amicizia di Maurizio Costanzo con il magistrato Giovanni Falcone,  assassinato nella strage di Capaci, più volte presente alle sue trasmissioni per interviste o dibattiti, pose Costanzo e Santoro fra i paladini “mediatici” della lotta contro la mafia. Pare addirittura che il boss Totò Riina, durante una discussione tra “uomini d’onore”, avesse detto: “Questo Costanzo ha rotto i coglioni”.

L’attentato sarebbe maturato, infatti, proprio per via dell’esposizione mediatica del giornalista contro cosa nostra. Del resto, l’ideatore e il conduttore del Maurizio Costanzo Show ha attraversato da protagonista gli anni bui del terrorismo, dei tentativi di golpe e gli anni della mafia e delle stragi. Un testimone della storia del Novecento, insomma. La sua biografia ha un capitolo spesso dimenticato, di cui lo stesso Costanzo però si è assunto la responsabilità: quello dell’affiliazione alla loggia massonica P2, la loggia Propaganda 2 del “venerabile” Licio Gelli, che aveva l’obiettivo di sovvertire l’ordine democratico. Fu Costanzo a intervistare Gelli, nel 1980. L’intervista fu pubblicata sulla terza pagina del Corriere della Sera e fu, appunto, una delle pochissime interviste che Licio Gelli concesse nella sua vita.

Il giornalista, anni dopo, definì la sua affiliazione una “cretinata”, dichiarandosi pentito e poco consapevole di cosa fosse realmente la P2. Nel processo per il crack ambrosiano, Costanzo venne ascoltato come testimone, nel 1991, e raccontò anche della famosa intervista. Nella deposizione riferì di non essersi iscritto per motivi legati a prospettive di carriera, ma perché stava vivendo un momento di vita difficile e di fragilità emotiva. Motivò la sua iscrizione affermando che stava vivendo un momento psicologico privato molto difficile: “Privato, di separazioni, cose del genere e siccome non avevo motivo di ritenere che non fosse Massoneria la Loggia P2, il fatto della solidarietà, psicologicamente in un momento in cui ero attraversato da un grande successo, che può essere un po’ destabilizzante, non mi dispiaceva. Capisco che può sembrare banale ma io poi queste grandi occasioni professionali non le ho avute, anzi, il contrario”.

Nei giorni dopo la sua morte, la figura di Maurizio Costanzo è stata ricordata da tantissime persone, sia famose che comuni. Tanti elogi, tanti grazie da parte di chi è stato aiutato a diventare qualcuno nel mondo dello spettacolo, tanti articoli e servizi per ricordare un uomo che ha spaziato dalla televisione al teatro, dal giornalismo al cinema, dalle case di produzione al mondo della canzone, dall’editoria all’insegnamento universitario e alla direzione artistica di teatri. Un uomo curioso, diventato un uomo potente. Affermare che Maurizio Costanzo è stato un uomo potente non è un’offesa o una mancanza di rispetto della sua figura.

Uno dei pochi a dare una giudizio dubbioso, in questi giorni, è stato il critico televisivo Aldo Grasso che, in un’intervista rilasciata al portale MOW, ha espresso la sua opinione sul celebre conduttore affermando che “sicuramente ha portato in Italia un genere nuovo, ma non sono mai stato entusiasta della sua televisione. Certo, era un grandissimo professionista. La sua era una Tv da uomo di potere. Amico della sinistra e amico di Silvio Berlusconi, consulente di tutti gli uomini politici e anche delle principali imprese italiane, insomma aveva la capacità di tenere sempre il piede in più scarpe. Certo ha creato dei personaggi che sono sopravvissuti, ma ha creato anche dei mostri, nel senso di persone esaltate, fuori di testa, e proprio a causa delle apparizioni al Costanzo Show”. Grasso ha poi aggiunto: “Uno iscritto alla P2, uno che ha intervistato Licio Gelli, l’abbiamo rimosso?”. Al di là delle opinioni personali del critico televisivo è corretto, comunque, aprire un ragionamento su cosa ha rappresentato per il nostro Paese Maurizio Costanzo.

È stato sicuramente un personaggio, un intellettuale, un uomo appassionato del suo lavoro. Ma non è stato solo personaggio, è stato anche e soprattutto, per fortuna, una persona. E come ogni persona, colmo di luci e ombre, di eroismi e di viltà, di forza e debolezza insieme, di tenerezza e calcolo. Non è stato un uomo perfetto ma non possiamo e non dobbiamo cancellare l’impegno profuso contro le mafie, la vicinanza sincera che mostrò verso Giovanni Falcone, quando Falcone era rimasto solo, troppo solo. Tutto questo non possiamo dimenticarlo. Insomma, quando rivedo il bacio sulla bocca che Maurizio Costanzo diede sul palco a Rosaria Iardino, la donna sieropositiva che combatteva la disinformazione e il pregiudizio, quando rivedo gli occhi grati di Falcone accanto a Costanzo, quando rivedo la scena in cui brucia la maglietta “mafia made in Italy”, ancora mi emoziono e non posso non dirgli grazie.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org