In uno dei territori a più alto tasso mafioso può capitare, a volte, che accadano dei veri miracoli civili. È il caso di Cutro, piccolo paese in provincia di Crotone, balzato agli onori della cronaca lo scorso anno per via del terribile naufragio avvenuto davanti alla frazione balneare di Steccato di Cutro, in cui morirono un centinaio di persone. Ma Cutro, località caratterizzata da bellezze paesaggistiche che ne fanno una cornice incredibile, purtroppo è famoso anche per le vicende legate alla ‘ndrangheta e alle attività criminali, che ruotano soprattutto attorno agli affari della famigerata ‘ndrina Grande Aracri, clan molto attivo nel paesino, in Calabria e anche nel nord Italia, e delle altre famiglie del crotonese. Parlavamo di miracolo civile, in apertura. E il riferimento è alle denunce di diversi imprenditori di Cutro, che hanno permesso alle forze dell’ordine di arrestare alcuni esponenti delle ‘ndrine locali.

In particolare, si tratta di affiliati alle famiglie Ciampà e Martino, un tempo in conflitto e ora, a quanto pare, coinvolti in una pax mafiosa per cercare di riorganizzare un nuovo potere nel crotonese. Gli estortori avrebbero intimato ad alcuni imprenditori di pagare il pizzo: la “tassa”, secondo gli inquirenti, oscillerebbe dai 400 euro per una ditta individuale ai 1200 per una un po’ più grande. Grazie alle intercettazioni e alle videoriprese eseguite dagli inquirenti, peraltro, sarebbe emerso come diversi componenti delle famiglie Ciampà e Martino si sarebbero “impegnati in un più ampio disegno estorsivo per rafforzare la loro egemonia mafiosa sul territorio”. Una vera e propria strategia, questa, che non avrebbe lasciato scampo agli esercizi commerciali della zona, né quindi all’intera comunità.

Tra gli imprenditori colpiti vi sarebbe stato Rosario Mattace, socio e amministratore della Mattace srls e gestore di una attività di ristorazione, nonché già candidato a sindaco di Cutro. Insieme a lui, vi sono anche altre “vittime”, tra cui i due titolari della Pentabloc srl, Antonio e Francesco Pupa, e alcuni soci della Metalgrond. Tutti, come detto, oggetto di una tentata estorsione da parte della ‘ndrangheta, alla quale si sono ribellati, scegliendo di non piegarsi e piuttosto di denunciare una volta per tutte i propri estortori. Così, grazie al loro coraggio e alla loro determinazione, sono finiti in manette, con l’accusa di estorsione con aggravante mafiosa, Giuseppe Ciampà, Salvatore Ciampà, Francesco Martino, Salvatore Martino e Carmine Muto. Ma il miracolo non finisce qui, perché oltre agli arresti, la società civile di Cutro sembra essersi risvegliata, trovando il coraggio (e non è mai facile, soprattutto in contesti così piccoli), di alzare la testa.

A seguito di quanto accaduto, infatti, i cittadini hanno deciso di sfilare in una marcia solidale nei confronti degli imprenditori e di tutti coloro che decidono di sfidare con coraggio la prepotenza mafiosa. Un migliaio di persone, secondo la stima delle forze dell’ordine, hanno così partecipato al corteo antimafia promosso dal Comune: un corteo fatto di persone il cui unico obiettivo è stato quello di mandare un segnale forte a chi quella terra vuole distruggerla e ridurla all’osso. “La gente vuole iniziare a liberarsi”, ha affermato Antonio Gaetano, giovane imprenditore locale che ha partecipato alla manifestazione. Gli fa eco il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, che in testa al corteo insieme ad altri primi cittadini ed al presidente della Provincia di Crotone, Sergio Ferrari, ha aggiunto: “La presenza di così tante persone rappresenta un segnale di cambiamento importante”. “Una rivoluzione – ha continuato il primo cittadino – contro chi chiede mazzette perfino ai piccoli imprenditori”.

Un segnale forte, deciso, soprattutto per chi teme per il futuro della propria terra: “Non si capisce quali operatori economici possano venire ad investire nel nostro territorio se non si smantella questo tessuto marcio”, ha concluso il sindaco. E non si potrebbe non essere d’accordo con lui: in un territorio in cui si percepisce la forte presenza della criminalità, solo se le istituzioni, le forze di polizia, la magistratura, il mondo economico e la società civile fanno reciprocamente la loro parte, spazzando via disuguaglianza e illegalità, allora si può pensare di costruire qualcosa di buono e di utile per chi ci vive.

Ecco perché denunciare i soprusi mafiosi non è solo un atto di coraggio nei confronti di se stessi, ma anche e soprattutto nei confronti della comunità alla quale si appartiene. Denunciare come hanno fatto gli imprenditori di Cutro è la cosa più bella che si possa fare se si crede in un futuro diverso, migliore, libero da ogni prepotenza mafiosa. È un miracolo civile quanto accaduto a Cutro, perché può essere l’inizio di una avanguardia antimafiosa che in Calabria esiste ma è ancora troppo piccola. C’è bisogno di far rumore, di alzare la voce, di far crescere qualcosa di nuovo che possa estirpare la “malapianta”.

Giovanni Dato -ilmegafono.org