Fino a quando non si vedono gli effetti, fino a quando non si contano i danni e le vittime, nessuno, a livello istituzionale, sembra preoccuparsi davvero del clima e dei cambiamenti climatici. Anche quando le città vengono invase dalle acque frutto di uragani e di quantità di piogge mai viste prima, ci sono perfino negazionisti dal curriculum ambiguo che, in prima serata, vanno in tv continuando a negare l’impatto dell’uomo sulla natura. Quello che è accaduto in Sicilia orientale, in particolare a Catania e Siracusa, è emblematico della tropicalizzazione del clima in questa parte di Mediterraneo. Sia chiaro, non è la prima volta che il maltempo devasta queste zone. Ci sono già stati fenomeni intensi, alluvioni, danni, vittime anche in passato. Non è vero che si tratta di episodi inediti, almeno per quel che riguarda le conseguenze. A Catania, infatti, non è certo la prima volta che qualcuno muore in città, investito dall’acqua. Però, un fenomeno così intenso, di così ampia durata, accompagnato da venti violentissimi, un uragano di questo tipo insomma, non si era mai visto.

Che il clima sia cambiato è evidente, così come è evidente che questo cambiamento abbia una causa antropica, come sostengono il 99% degli articoli scientifici pubblicati negli ultimi dieci anni. Ma chiaramente non è solo colpa del clima, perché il problema sta anche nell’impreparazione a questa nuova situazione e nei modelli che si continuano a seguire. In Sicilia, e non solo in Sicilia. Nell’isola, negli ultimi anni, non c’è stato alcun piano per la riduzione del rischio idrogeologico. Il presidente della Regione, Nello Musumeci, nelle stesse ore in cui la sua Catania era un fiume in piena e piangeva già una vittima, uccisa dall’acqua a Gravina (oltre alle altre due del giorno precedente in provincia), si premurava di pubblicare un post nel quale propagandare il suo impegno contro il rischio idrogeologico, parlando di oltre 400 milioni stanziati dal 2018 a oggi. Peccato che sarebbe molto più utile sapere nel dettaglio dove, come e perché sono stati spesi.

Soprattutto, il nostro Presidente dimentica che conta poco autolodarsi per un impegno, se poi si continua a morire, si continuano a vedere le città sommerse, a maggior ragione se a parlare è il capo di un governo regionale che ha aperto la Sicilia, come già aveva fatto il suo predecessore, a chi vuole continuare a depredarla, a strapparle territorio, verde, ricchezze naturali. Un governo che l’ha maltrattata con una legge, anzi una sanatoria sugli abusi edilizi (per fortuna impugnata dal parlamento nazionale), che di certo non aiuta a salvare la Sicilia da quella condizione idrogeologica gravissima, già più volte denunciata il giorno dopo di ogni disastro, a partire da quello tremendo di Giampilieri e Scaletta Zanclea, nel 2009. Un tema rispetto al quale nulla si è fatto, continuando anzi a sostenere, come ha fatto compatta e trasversalmente la politica siciliana in questi anni, progetti industriali (vedi le trivellazioni) che minacciano i nostri territori.

Una politica che non è stata capace neanche di gestire le risorse dei fondi europei finalizzati a sostenere uno sviluppo armonico, strutturale e complessivo del territorio. Al presidente Musumeci, inoltre, andrebbe ricordato quello che è accaduto anche quest’anno, con gli incendi che hanno devastato ettari di boschi, alberi e polmoni verdi, modificando la fisionomia di moltissime zone, distruggendo la capacità drenante di intere parti della nostra isola. Una piaga, quella degli incendi, contro la quale è emersa la pochezza di un governo regionale incapace di prevenire e di combattere la mano incendiaria, che non era di semplici piromani, ma di criminali al soldo di interessi economici. Bisognerebbe anche ricordare al Presidente della Regione che in questo momento, dopo l’abbuffata dell’eolico, dietro cui si nascondeva la mano del boss di cosa nostra, Messina Denaro, la Sicilia è diventata il piatto ricco che ha solleticato un altro appetito famelico. 

Parliamo degli oltre 400 progetti di impianti di fotovoltaico, tra i quali alcuni progetti milionari di mega fotovoltaico presentati da aziende, straniere o di altre parti d’Italia, con capitali stranamente mai superiori a 20mila euro. Progetti dall’impatto devastante, come quello nel cuore degli iblei o quello nel centro Sicilia, nel Dittaino, aree ricche di testimonianze archeologiche, di produzioni agricole di eccellenza e di patrimoni naturali e paesaggistici. Impianti che andrebbero a devastare milioni di metri quadri di territorio, aumentando ulteriormente la debolezza dei terreni e il rischio idrogeologico, in nome di interessi sui quali la Commissione Regionale Antimafia sta indagando e che, come risulta da alcune “anticipazioni”, sarebbero collegati anche a parte degli incendi appiccati quest’anno.

Di tutto questo Musumeci non parla, perché, chiuso nella sua torre, non avrebbe molto da dire, se non ripetere di aver stanziato e speso 400 milioni (evidentemente non benissimo). Così come non avrebbe molto da dire sull’assenza di prevenzione nelle città e nelle strade extraurbane. O sulla atavica questione dei rifiuti, che ovviamente riguarda soprattutto la Regione, ma anche gli enti locali, la gran parte dei quali incapaci di andare oltre la soluzione vetusta e inutile delle mega discariche.

La Sicilia insomma annaspa, così come annaspano tante altre zone d’Italia, in questi ultimi anni devastate dalle alluvioni, sbriciolate dagli eventi climatici funesti e violenti. Eventi climatici che sono la risposta della natura a una pressione umana insopportabile e insostenibile. Da un lato c’è il clima che cambia (e rispetto al quale i potenti della Terra continuano a rinviare ogni soluzione efficace), dall’altro una vergognosa e colpevole inerzia di chi continua a non intervenire sulla messa in sicurezza di città e reti viarie e ferroviarie, ponti, strade, e così via, né sulla promozione di uno sviluppo sostenibile che rispetti il suolo e le regole, che sia armonico e non nevrotico, che non si trasformi anch’esso in un nuovo assalto al territorio e alla sua fisionomia. Il tempo è scaduto e la risposta non può essere quella di rinviare le soluzioni né quella di accollarsi meriti su ciò che non solo non è visibile, ma non basterebbe comunque se, dall’altro lato, si continua poi a inseguire un modello basato sulla depredazione del territorio e sullo sfruttamento disordinato e selvaggio delle sue risorse naturali.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org