Mentre scrivo, il numero delle firme veleggia verso novantamila. Come se l’intera popolazione della città di Pistoia avesse deciso di scrivere, testa per testa, il nome in calce alla richiesta di radiare Vittorio Feltri dall’Ordine dei Giornalisti avanzata da due firme prestigiose, due che hanno messo sul piatto le loro vite (collezionando minacce e uomini di scorta) pur di onorare il mestiere fino in fondo. Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi. E c’è da credere che a Pistoia potrebbero aggiungersi presto Montecatini, Prato, Sesto Fiorentino e via dicendo. Dopo essersi autosospesi, Ruotolo e Borrometi hanno avviato la petizione su Change.org: “Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, hanno scritto. Lo avevo scritto pure io. Lo avevamo scritto in tanti.

Per ricordarlo: Feltri, commentando la gravità dello stato di salute dello scrittore siciliano, aveva steso sontuosi apprezzamenti per la sua penna, vergando alcune righe luccicanti fino ad allargare i palmi verso l’orizzonte con un trionfale “mirabile”, per poi virare improvvisamente verso nord, correggendo il tiro e ricordando che “la consolazione per una sua eventuale dipartita è che finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrore che ci ha rotto i coglioni”.

Io ho immaginato, da subito, che Feltri avesse scritto il pezzo partendo da quel “terrone che ci ha rotto i coglioni”, considerando in un secondo tempo di costruirci sopra un apparato tale da permettergli di dire, in caso di richiamo, “ho elogiato, forse in modo esagerato, lo scrittore siciliano, e al termine del mio articolo ho aggiunto che per consolarmi della sua eventuale morte avrei gradito il fatto che il terrone Montalbano non mi avrebbe più rotto i coglioni, e Montalbano è un personaggio inventato, quindi non ho insultato nessuno”. Ecco: il direttore editoriale di Libero, puntualmente richiamato, ha scritto esattamente questo. E ha pure aggiunto di aver usato il termine “terrone” nella sua valenza “scherzosa”, non in quella spregiativa, e che questo Ruotolo e Borrometi non l’hanno capito.

Il problema di Feltri è che la valenza “scherzosa” non l’abbiamo capita in tanti (al momento circa novantamila certificati, in crescita costante), e anzi in tanti abbiamo pensato, e pensiamo, che la valenza sia spregiativa. Non tanto per il Sud, no, non credo questo. O, almeno, non solo per il Sud: personalmente credo sia spregiativa per tutti quelli che considerano sbagliato questo incredibile ed eccessivo uso della libertà d’espressione, che Feltri ha deciso ancora una volta di sbatterci in faccia. Borrometi e Ruotolo scrivono al presidente dell’Odg, Verna: “Proprio noi che più di altri ci battiamo per la difesa dell’articolo 21 della Costituzione, riteniamo gli scritti e il pensiero del direttore Feltri veri e propri crimini contro la dignità del giornalista”.

Perché le colonne di “Libero” hanno ospitato titoloni che, a conti fatti, altro non erano che insulti, vomito sulla libertà, sulla dignità, sulla legittimità di scelte sociali. Come nel caso della giustificazione “personaggio inventato” in merito al terrone dato a Montalbano, però, Feltri ha tirato fuori dal taschino una scusa che provoca ancora più rabbia in chi lo legge: “Mi accusano di aver vergato titoli razzisti, omofobi, sessisti. Semplicemente ciò è falso. Io sono direttore editoriale di Libero, non responsabile. Quindi non rispondo dei contenuti del giornale che non abbia scritto io. ‘Bastardi islamici’, ‘Patata bollente’, ‘Comandano i terroni’, eccetera, non sono definizioni mie, ma sintesi espressive – opere dell’ingegno altrui – non attribuibili a me e di cui non posso appropriarmi”.

Non affronta le proprie responsabilità, tenta di fuggirle con un gioco di specchi, rimandando la propria immagine al di là delle colonne del giornale, al di là della Costituzione, al di là del dibattito civile. Perché crede, profondamente, nell’impunità. E ha ragione: non siamo mai stati capaci, negli ultimi vent’anni, di far valere la differenza fra notizia e opinione, fra legittimità e opportunità. L’unico gesto di cui l’Ordine è stato capace risale a dieci anni fa: la sospensione di appena tre mesi per quella mostruosità del “metodo Boffo”. Da allora sotto la penna del direttore editoriale di “Libero” si sono aperte praterie, praterie talmente ampie da instillare nella mente di molti il pensiero che l’offesa scritta sia giusta, sui social o dovunque possibile, perché alla fine offesa non è, ma esercizio di un diritto costituzionale.

Amen. Il limite oltre il quale la notizia non è più “di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti”, sancito dalla carta deontologica per ogni giornalista, quel sottile tratto scuro costato lustri di fatiche, di battaglie, è adesso sbiadito, quasi cancellato. Lo stiamo perdendo, e non stiamo facendo nulla per rimarcarlo.

I posteri dell’ardua sentenza siamo noi, ma abbiamo le matite spuntate.

Seba Ambra -ilmegafono.org