Mancava solo la “riflessione” di Giuseppe Sala. Nel coro di opinioni sul tema dell’immigrazione, si inserisce anche il sindaco di Milano, che sull’argomento, già in passato, in tv o sui giornali, non aveva prodotto pensieri molto illuminanti. Beppe Sala, l’uomo che Renzi impose per la Milano post-Pisapia, quella Milano accogliente che si era distinta per la solidarietà ai migranti accampati alla stazione Centrale, in prevalenza siriani desiderosi di andare via dall’Italia per raggiungere parenti e amici già residenti in altre nazioni o semplicemente per trovare posto in contesti con maggiori opportunità sociali ed economiche.

Beppe Sala, nel clima di intolleranza e falsità sui migranti che sta inquinando il Paese, ha pensato bene di rilasciare una intervista a un giornale di infimo livello (l’innominabile quotidiano diretto da Belpietro e che si avvale della firma di Giordano, l’uomo dei cartelli apprezzato solo da Bianca Berlinguer). E a scanso di equivoci, ha ribadito gli stessi concetti anche in un post sul proprio profilo facebook.

«L’Italia – scrive Sala sul suo canale social ufficiale – ha circa il 9% di immigrati e Milano il 19%, eppure qui le cose non vanno così male. Però ora dobbiamo fronteggiare un’immigrazione nuova e cioè quella africana. Se chiedessi ai milanesi: “Ma vi siete lamentati quando sono arrivati i filippini o i singalesi?” la risposta sarebbe “No”. Ma è innegabile che oggi la tensione stia salendo. Chi sta arrivando negli ultimi anni (e probabilmente sarà così anche in futuro) ha spesso un livello di istruzione bassissimo e tanti non hanno alcuna professionalità lavorativa».

Un ragionamento che poi prosegue con la rassicurazione che comunque Milano continuerà a fare la sua parte e ad accogliere. Un ragionamento superficiale, presentato come una riflessione serena e costruttiva, ma in realtà pericoloso. Parole che rischiano di offrire una sponda a chi, a destra ma anche dentro il centrosinistra, guarda all’immigrazione come a un problema urgente e a una minaccia per il Paese, scaricando sempre sul migrante il peso di una situazione che l’Italia dimostra di non sapere e di non volere gestire. Dal pensiero del sindaco milanese emerge una inaccettabile banalizzazione, ma soprattutto un tentativo di etnicizzare la questione, di stabilire categorie di responsabilità, inoculare una irritante mentalità che induce automaticamente a una sorta di “selezione” delle razze.

Non sappiamo se Sala si sia reso davvero conto della logica oscura e funesta che si cela dietro quella che egli ha proposto come “riflessione” bonaria. Di sicuro è gravissimo pensare (e dire) che la tensione, in un momento come questo, con un governo che ripropone logiche da apartheid e con una società nella quale si susseguono atti di razzismo continui, sia colpa di una parte dell’immigrazione presente in Italia. Affermare che gli africani sono sempre meno qualificati e istruiti, senza fare lo sforzo di andare oltre gli slogan, significa giocare sporco, accendendo il sospetto che questa riflessione sia in realtà mossa da una disperata e ostinata ricerca di consenso a destra, o comunque in quell’elettorato medio e ondivago che oscilla dentro una visione conservatrice e conservativa della nazione e della società.

Cerchiamo allora qui di rispondere a Sala e di approfondire un tantino il discorso. Gli immigrati (non solo africani) residenti in Italia, negli ultimi anni, secondo quanto sostengono sia l’Ocse che l’Istat, hanno effettivamente un tasso di scolarizzazione minore. Il 47% infatti non ha superato la terza media. Questo dato però dovrebbe essere letto bene. Intanto, bisognerebbe avere ogni tanto una visione più complessiva e accennare anche che, di contro, esiste un 53% che ha invece un tasso di istruzione più elevato e che, come ha mostrato l’Ocse, spesso viene impiegato in lavori non qualificati e mansioni di routine (lavoratori domestici, addetti alle pulizie, braccianti, lavapiatti, muratori, camerieri). Inoltre, parliamo dei residenti, ma le statistiche nulla dicono dei migranti giunti in Italia e ancora in attesa di completare il terribile e sempre più difficile iter burocratico di regolarizzazione.

Dopodiché sarebbe doveroso spiegare anche il perché dell’aumento in Italia di cittadini stranieri a basso livello di istruzione. E bisognerebbe aggiungere che, dal 2012 a oggi, più del 50% dei migranti presenti in Italia se n’è andato via e che, così come fanno i nostri laureati, anche gli stranieri qualificati e istruiti lasciano l’Italia per cercare paesi con maggiori opportunità. Allo stesso modo si dovrebbe dire che, nel nostro Paese, il riconoscimento del titolo di studio è praticamente impossibile e che, a differenza di altre nazioni europee (in primis la Svezia), non esistono progetti efficaci in tale ambito.

Così, chi ha una istruzione e vuole completare gli studi o ambisce a professioni più qualificate non può fare altro che andarsene via. Mentre chi è meno istruito e ha meno ambizioni, trova in Italia l’opportunità di impiegarsi in mansioni di routine e molto spesso in settori ai quali gli italiani non aspirano (vedi il badantato, per fare un esempio). Sull’altra affermazione di Sala, relativamente al fatto che i migranti africani che arrivano non hanno mai lavorato, qui siamo al livello di chiacchiere da bar. Perché magari i non istruiti non hanno nemmeno professionalizzazione, ma di certo basta parlare con loro e riempire un cv con loro, per accorgersi che, in patria o in Libia, molti hanno svolto qualsiasi tipo di lavoro per potersi pagare il viaggio. Lavori diversi, a volte anche in cantieri italiani, lavori senza qualifica o certificazioni, ma che hanno fornito esperienze e conoscenze pratiche.

Proprio sul tema del lavoro, Sala avrebbe dovuto spendere qualche ora del suo tempo prima di lasciarsi andare a “riflessioni” così povere e intrise di pregiudizi. Perché se l’Italia ha smesso da anni di gestire flussi legali per i cosiddetti migranti economici, se questo Paese non ha mai saputo regolare e favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro con i cittadini di altre nazioni più povere, è normale che ci sia un abbassamento del livello di qualifica e di istruzione di chi si ferma in Italia, perché i migranti, dopo qualche mese o anno, da qui vanno via, abbandonando un Paese che non regolarizza, non rispetta i lavoratori, non combatte lo sfruttamento, non permette di sopravvivere e costruire un futuro dignitoso.

Il nostro Paese non cresce, la nostra economia non è una economia avanzata e dunque attrae un certo livello di qualifiche (sia che si tratti di italiani che di stranieri), mentre spinge gli altri verso l’estero, verso modelli economici più elevati e moderni. In poche parole, dunque, la riflessione di Sala avrebbe dovuto integrare questi dati, stimolare una lettura della situazione più profonda e, soprattutto, giungere a una conclusione. Che dovrebbe far comprendere che se questo Paese continua a chiudersi e a fomentare visioni distorte, vigliacche, disinformanti, se non riconosce diritti, inclusione, se non consente ai migranti di regolarizzarsi, accedere agli studi, diventare tutti egualmente produttivi siamo destinati al tracollo economico e sociale.

Con tutte le tensioni che ne derivano e delle quali i responsabili non sono i migranti, ma noi come Paese. E soprattutto le forze che lo hanno governato in questi anni, compreso il partito a cui appartiene Sala. Incluso lui e le sue riflessioni superficiali, un po’  e francamente evitabili.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org