Stefano Cucchi, geometra trentenne morto a Roma nel 2009 dopo il suo arresto, è diventato negli ultimi anni un simbolo della lotta agli abusi che talvolta si consumano ai danni di chi viene fermato o arrestato. Nel corso del tempo, la vicenda ha ricevuto ampia attenzione dall’opinione pubblica, anche grazie alla battaglia coraggiosa di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, che nelle aule di tribunale e sui media ha chiesto sempre a gran voce giustizia per quello che sembra essere un assassinio.

Per anni le foto del cadavere di Cucchi, deturpato da quello che sembra essere stato a tutti gli effetti un violento pestaggio, hanno invaso i social e sono state riprese da numerosi programmi tv e anche da qualche documentario. Nonostante ciò, fino a qualche giorno fa nessun tribunale aveva dichiarato illecita la condotta dei carabinieri. In un primo momento il processo Cucchi aveva infatti riguardato solo le guardie carcerarie e i medici che lo avevano avuto in cura. Non sono bastati tre gradi di giudizio per fare luce sui fatti di quella settimana che portò Cucchi dall’arresto al decesso. Nel 2016, il secondo processo d’Appello, chiesto dalla Cassazione alla fine dell’anno precedente, aveva infatti assolto i medici e le guardie carcerarie.

A gennaio dell’anno scorso, però, è stato avviato un nuovo procedimento penale, al termine di una nuova fase d’indagine. Per capire le differenze tra il primo e il secondo processo può essere allora utile una ricostruzione dei fatti noti. Stefano Cucchi fu arrestato il 15 ottobre per spaccio di stupefacenti. Nel momento in cui venne messo in custodia cautelare l’uomo non aveva alcun trauma fisico evidente. Già nel giorno successivo all’arresto, durante il processo per direttissima che lo aveva condannato a una pena carceraria, Cucchi presentava invece alcuni ematomi e aveva difficoltà nel camminare e nel parlare. Successivamente verrà visitato e, coerentemente con le volontà del paziente, dimesso e trasportato in carcere.

Una settimana dopo Stefano Cucchi morirà. L’autopsia riporta lesioni in tutto il corpo, la frattura della mascella, un’emorragia interna alla vescica e due fratture alla colonna vertebrale. Il primo processo ipotizzava la colpevolezza delle guardie carcerarie del carcere di Regina Coeli, dove Stefano aveva trascorso la sua settimana di reclusione, e dei medici che non avevano proceduto al ricovero e alla giusta assistenza alla vittima. Le indagini successive sono state invece volte a chiarire la posizione dei carabinieri che avevano proceduto all’arresto, rei secondo l’accusa di aver colpito Cucchi con schiaffi e pugni, provocandogli delle ferite che sarebbero divenute mortali anche per la condotta negligente dei medici.

Queste nuove indagini hanno portato al rinvio a giudizio di alcuni carabinieri, all’inizio dello scorso anno, per il reato di omicidio preterintenzionale. In merito a ciò, il giudice dell’udienza preliminare aveva previsto la prescrizione per l’abuso di autorità che veniva imputato a due dei carabinieri rinviati a giudizio.

Francesco Tedesco, uno degli imputati, aveva comunque fatto ricorso, chiedendo di essere assolto da quel reato. Il 19 aprile la Corte di Cassazione ha giudicato “inammissibile” tale ricorso e in settimana le motivazioni pubblicate sono state chiare e inequivocabili: si parla infatti di “violenza fine a se stessa” che avrebbe prodotto “gravissime conseguenze”. Una svolta importante nella vicenda. Non l’unica di questo periodo che ha visto anche la testimonianza di Riccardo Casamassima, appuntato dei carabinieri che, il 15 maggio scorso, aveva inchiodato gli imputati, confermando indirettamente che Cucchi era stato “massacrato di botte”.

Casamassima, dopo questa testimonianza, è stato trasferito e demansionato e in settimana ha denunciato sui social la sua indignazione nei confronti dell’Arma, che a suo dire lo avrebbe punito per aver detto la verità. Insomma, dopo quasi 10 anni questo castello di carte sta finalmente cadendo, e la verità che si intravede può essere molto spiacevole per lo Stato. Ma Stefano Cucchi e i suoi familiari meritano verità e giustizia. Senza se e senza ma.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org