Un episodio tragico, con molte ombre e specchio di un’Italia contraddittoria e, quantomeno, distratta. L’improvvisa morte del boss Salvatore Di Gangi, scarcerato il 27 novembre per problemi di salute e trovato morto, poche ore dopo, a Genova, sui binari ferroviari tra le stazioni di Brignole e Principe. Di Gangi stava scontando la propria pena a 17 anni di reclusione per associazione mafiosa presso il carcere di Asti ma, in virtù di una perizia medico legale che ne attestava gravi deficit cognitivi, era stata recentemente disposta, dalla Corte di Appello di Palermo, la sua scarcerazione affinché potesse finire di scontare la propria pena “ai domiciliari”, a Sciacca. Alla sentenza della Corte di Appello ha fatto seguito tutta una serie di decisioni anomale e poco chiare che hanno inevitabilmente condotto alla morte del boss.

Anomalie apprese innanzitutto dai racconti del figlio, Alessandro Di Gangi, sconvolto ed arrabbiato per il trattamento riservato al padre. “Della scarcerazione – ha dichiarato il figlio del boss – noi familiari non siamo stati avvisati, non è arrivata alcuna telefonata, non lo avremmo certamente abbandonato, anche perché mio padre era molto malato”. “È dal 2017 – ha precisato – che presento istanze (tutte respinte) affinché gli venissero concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute, è chiaro che se fossimo stati informati ci saremmo precipitati per andare a prenderlo”. Di Gangi ha inoltre dichiarato che il padre non sarebbe stato investito dal treno perché, secondo i racconti della polizia ferroviaria, il corpo sarebbe stato visto dal macchinista che avrebbe fermato il treno prima che lo travolgesse.

La procura di Genova ha aperto un fascicolo a carico di ignoti ed ha disposto che venga effettuata sul cadavere l’autopsia a cui prenderà parte anche un perito nominato dai familiari del boss deceduto. Al momento sembra che gli inquirenti escludano l’ipotesi dell’omicidio e ritengano molto più probabile la pista dell’incidente. Secondo quanto si apprende da fonti investigative sembrerebbe che, una volta scarcerato, il boss sia stato condotto, in taxi alla stazione perché raggiungesse Sciacca e che sarebbe poi però stato fatto scendere dal treno, alla stazione di Genova Principe, perché sprovvisto di Green pass. A quel punto, secondo una ricostruzione che gli inquirenti stanno cercando di avvalorare attraverso la visualizzazione dei filmati di videosorveglianza, l’uomo avrebbe perso l’orientamento, cominciando a girovagare tra i binari. 7

Una ricostruzione che, per quanto sembri essere supportata da diversi elementi e quindi piuttosto veritiera, lascia comunque molti dubbi. È davvero incomprensibile, in ogni caso, il processo decisionale che ha portato chi di competenza a rimettere in libertà un 79enne diabetico e con gravi deficit cognitivi e spazio temporali a queste condizioni, specie poi in considerazione del fatto che si trattava di un boss per molti anni considerato fedelissimo di Totò Riina e finito recentemente dentro un nuovo filone di indagini riguardante la proprietà del complesso alberghiero “Torre Macauda” di Sciacca. I dubbi, legittimi, sono tantissimi.

Perché un boss è stato scarcerato e i familiari non sono stati informati? Perché non gli è stata fornita alcuna scorta o sorveglianza nel trasferimento a Sciacca, in considerazione del fatto, tra l’altro, che non era stata disposta la rimessa in libertà ma che comunque avrebbe dovuto continuare la pena ai domiciliari? Perché non gli era stata fornita adeguata assistenza medica (veniva sottoposto a 4 dosi di insulina al giorno oltre a svariate terapie per i deficit cognitivi)? Perché, nel decidere il suo trasferimento tramite treno, nessuno si è preoccupato di verificare che fosse in possesso di Green pass?

Una distrazione davvero inaccettabile perché, se è vero che a perdere la vita è stato un pericoloso boss, è altrettanto vero che non si è avuta alcuna cura di un anziano gravemente malato, né si è pensato di predisporre per lui alcun tipo di sorveglianza, con il rischio di una fuga che, in ogni caso, avrebbe rappresentato un favore alle mafie. Un episodio sconcertante su cui si spera che venga fatta luce, ma che al momento lascia un’innegabile sensazione di sconfitta perché, comunque sia andata, in questa assurda vicenda la giustizia si è smarrita.

Anna Serrapelle- il megafono.org