Qualche giorno fa si è spento all’età di 94 anni don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra e per tanti anni fautore di numerose battaglie combattute al fianco dei più poveri, della gente più sfortunata. Proprio nel comune dell’hinterland napoletano, infatti, tutti lo ricordano come un uomo di fede, con grande coraggio e con una voglia enorme di cambiare le cose, anche quelle più difficili e per lungo tempo rimaste taciute.

La vita ecclesiastica e sociale di don Antonio Riboldi inizia nel 1951, ma è a partire dal 1958 che il sacerdote brianzolo entra a contatto con quella che sarà la sua realtà per i successivi 50 anni: in quell’anno, infatti, viene inviato a Santa Ninfa, in provincia di Trapani, luogo in cui rimarrà fino al 1978.

Ed è proprio nel Belice che don Riboldi si fa conoscere dall’opinione pubblica nazionale, subito dopo il terribile terremoto del 1968; in seguito a tale catastrofe, infatti, il sacerdote fa di tutto per combattere le organizzazioni criminali del luogo che, consce dell’enorme quantità di denaro in arrivo dal governo per l’emergenza e la ricostruzione, stavano pregustando già da tempo la possibilità di impossessarsene e rimpinguare le proprie casse. Don Riboldi non commette l’errore di tacere e, al contrario, inizia a far clamore contro i soccorsi che vengono a mancare, rilascia interviste, dà vita a numerose marce di protesta (fu proprio lui a portare alcuni terremotati a Roma, alla presenza di papa Paolo VI) e inizia a vivere la vita da “pastore” condividendo le baracche con gli sfollati.

Insomma, un vero e proprio esempio di quella Chiesa che spesso viene a mancare, di cui spesso ci si dimentica anche per cause interne all’istituzione stessa; uno di quegli esempi che riesce a far luce e a brillare in mezzo al buio più oscuro e tetro. È pertanto nel Belice che don Riboldi ottiene una consacrazione che ha numerose sfaccettature: è uomo di chiesa, un uomo disponibile e conscio delle proprie idee, ma è anche un uomo di lotta e, soprattutto, una figura di riferimento e supporto per numerose persone, un supporto che è morale e spirituale e basato sulle leggi del giusto e della legalità.

In seguito all’esperienza siciliana, il sacerdote viene nominato vescovo proprio nei pressi del Comune di Santa Ninfa e, nel 1979, si trasferisce ad Acerra, in Campania. Qui lo scenario che gli si propone davanti non è poi così diverso ma, addirittura, per certi aspetti pure più tragico: sebbene non ci fossero persone da sfamare né case da ricostruire, la situazione che si viveva in quegli anni e in quei luoghi era decisamente difficile, poiché esisteva una comunità ecclesiastica da risollevare, ma soprattutto vi erano cittadini oppressi dalla criminalità organizzata e un’omertà durissima che andava sconfitta, anche a costo di rischiare la propria vita.

L’ormai vescovo Riboldi non si è mai arreso dinanzi alle difficoltà, né ha mai dato la sensazione di provare paura in seguito alle minacce della camorra (per questo motivo gli venne concessa una scorta): negli anni ‘80, infatti, in compagnia di numerosi giovani, don Riboldi decide di dar luogo ad una marcia di protesta contro la camorra, una marcia che porta il corteo sino ad Ottaviano, culla e roccaforte del boss Raffaele Cutolo. Una dimostrazione di forza e coraggio notevole, che ha dato vita, negli anni a venire, alla nascita di numerose associazioni di studenti contro la mafia in tutto il sud Italia, contribuendo al risveglio di molte coscienze, soprattutto dei giovani.

Del vescovo Antonio Riboldi, dunque, si potrebbe dire molto altro ancora, ma una delle cose più importanti di cui non ci si deve dimenticare è il valore immenso del suo esempio, la sua enorme forza di volontà che ha spinto un uomo proveniente dal nord a combattere in contesti poveri e complessi del Meridione dell’epoca. Un uomo nato in un contesto sicuramente più semplice, che però ha accolto la sfida di provare a cambiare territori che risultavano difficili e fortemente controllati dalla criminalità organizzata, che ancora operava indisturbata, fatta eccezione per pochi isolati tentativi di ribellione.

Con la sua morte, non è solo la Chiesa ad aver perso uno degli uomini più illustri e più veri, ma sono le comunità di Acerra, quella di Santa Ninfa e, in generale, l’Italia intera ad aver perso un uomo coraggioso che ha saputo incarnare al meglio i valori immortali della legalità e della giustizia. Lo abbiamo voluto ricordare e ci auguriamo che in futuro non ci si dimentichi di lui, del suo esempio e di quello di altri come lui che oggi sono ancora in vita.

Giovanni Dato -ilmegafono.org