“Oggi la gran parte di noi occidentali può permettersi di condurre un’esistenza piena di sprechi. Ma in questo modo dimentichiamo che le nostre condizioni sono soggette a fluttuazioni e che potremmo non essere in grado di anticipare quando il vento cambierà. A quel punto saremo ormai troppo abituati a uno stile di vita dispendioso, per cui le uniche vie d’uscita potranno essere una drastica riduzione del nostro tenore di vita o la bancarotta”. Sono le parole del biologo statunitense Jared Diamond che, dopo la pandemia, lo scoppio della guerra in Ucraina e la crisi economica ed energetica che ne è seguita, diventano non più un suggerimento ma quasi un dovere per i governi e per ogni singolo cittadino. È di pochi giorni fa la comunicazione di EDF, il colosso energetico nazionale francese, al nostro ministero della Transizione Ecologica, del fermo di oltre metà dei reattori nucleari transalpini.

La Francia pesa per il 5% del fabbisogno italiano, ma sono a rischio anche le forniture da Svizzera, Austria e Slovenia. I “cugini” francesi fanno grande uso dell’energia nucleare, ma 32 dei 56 reattori devono essere sottoposti a manutenzione. Nonostante il nostro ministero della Transizione Ecologica riferisca che “il problema era già noto da mesi”, rimane da capire come il nostro Paese farà fronte all’evento. Se il taglio verrà eventualmente compensato da maggiori risparmi o se sarà necessario acquistare più gas – la fonte più utilizzata dall’Italia per produrre elettricità – o persino più carbone. Visto che le centrali che lo bruciano sono tornate a regime. Nel 2016 l’energia nucleare in Francia ha generato il 72,3% dell’energia elettrica a basso costo, ma dal 2021 in poi il Paese transalpino si è trasformato nel malato elettrico d’Europa.

Yves Marignac, che dirige l’istituto négaWatt di Parigi, un’associazione che promuove efficienza e risparmio energetico come mezzo per combattere sia il cambiamento climatico che l’inquinamento, riferisce che i francesi hanno spento 32 dei 56 reattori per il rifornimento di combustibile nucleare. Alcuni sono stati spenti per manutenzione programmata (sono troppo vecchi); in dodici reattori vi sono delle crepe (corrosione da stress) nelle tubazioni e sono stati dismessi, poiché le riparazioni saranno lunghe e complesse. Già nel 2013, durante il dibattito nazionale sulla transizione energetica, il presidente dell’Autorità francese per la sicurezza nucleare, avvertì che il sistema elettrico era vulnerabile: bastava fossero indisponibili dieci reattori e ci sarebbero stati problemi; serviva sviluppare dei margini per non rischiare una situazione del genere. Ma non è stato ascoltato. La Francia è uno dei Paesi dell’UE in ritardo rispetto all’obiettivo del 2020 per le energie rinnovabili.

I governi si sono opposti a politiche di sobrietà della domanda elettrica, negando i pericoli di questa strategia. È chiaro che il rischio di blackout elettrico sarà reale nel corso del prossimo inverno: qualsiasi incidente potrebbe portare al collasso. Secondo Marignac c’è una sola strada: sfruttare a fondo le potenzialità delle energie rinnovabili e dell’efficienza e puntare alla sobrietà energetica. Occorrerà ridurre le emissioni di gas serra, aumentare la “sovranità energetica” e ridurre l’impatto sui prezzi della bolletta energetica di famiglie e imprese. EDF non naviga, peraltro, in buone acque. Nel 2021 il debito ammontava a 42,3 miliardi di euro. E in Italia? Lo sfruttamento dell’energia nucleare nel nostro Paese ha avuto luogo tra il 1963 e il 1990. Le cinque centrali nucleari italiane sono state chiuse per raggiunti limiti di età o a seguito del referendum del 1987. Tra il 2005 e il 2008 si è riaperto un dibattito sull’eventuale reintroduzione dell’energia nucleare e si è chiuso con il referendum abrogativo del 2011, con cui sono state abrogate alcune disposizioni concepite per agevolare l’insediamento delle centrali nucleari. In molte aree, peraltro, rimane il problema delle scorie e del loro smaltimento, con tutti i danni che ne derivano per ambiente e salute.

È soprattutto il centrodestra che, anche in questa ultima campagna elettorale, ha riproposto il nucleare nei suoi programmi. Silvio Berlusconi, il 18 agosto 2022 promette che “l’Italia tornerà al nucleare”, comprendendo poco o per niente l’allarme lanciato da scienziati, ambientalisti e divulgatori scientifici. Nel 2020 l’Italia ha raggiunto l’obiettivo nazionale con una quota di rinnovabili del 20,4% su un target del 17%. La quota italiana resta però sotto la media dell’UE, che si attesta al 21,1%. Le energie rinnovabili sono il futuro e il presente, a patto di un grande cambiamento culturale ed educativo. Dopo i disastri di Chernobyl e Fukushima, che hanno portato anche la Germania ad accelerare l’abbandono del nucleare, ci si è resi conto che l’utilizzo di questo tipo di energia è altamente pericoloso, che le centrali rilasciano radioattività anche senza incidenti, creando problemi alla salute, all’agricoltura e al turismo, che lo smaltimento delle scorie pericolose è difficile e complesso (le mafie legano i propri interessi anche allo smaltimento dei rifiuti e delle scorie), i costi di manutenzione sono altissimi.

Inoltre questo tipo di fonte non riduce le importazioni di energia, come dimostra la Francia, dove le importazioni e il consumo pro capite di petrolio sono più alti che in Italia. Ancora, il nucleare crea pochi posti di lavoro e l’uranio (elemento essenziale per il funzionamento delle centrali) è in via di esaurimento. Anche l’utilizzo delle fonti fossili è problematico. Le fonti fossili sono limitate, inquinano, sono localizzate in pochi Paesi, causando tensioni geopolitiche. Il futuro deve essere l’energia rinnovabile, perché le energie rinnovabili sono illimitate, non inquinano, sono ovunque, non vi sono rischi di trasporto. A patto, comunque, come detto, di un cambiamento culturale, da parte, soprattutto, del mondo occidentale. Ce lo conferma quanto sostenuto da Piero Angela, scomparso un mese fa, il quale in un volume pubblicato insieme a Lorenzo Pinna, dopo un esame globale sulle varie fonti di energia, arriva alla conclusione che: bisogna puntare sulle energie rinnovabili, ma senza pretendere troppo; non immettere nell’ambiente sostanze inquinanti; non aumentare l’uso di risorse non rinnovabili; puntare sulla ricerca scientifica ed evitare inutili sprechi; cambiare cultura, a costo di retrocedere su alcuni “lussi” che oggi possiamo concederci. Lussi che, venendoci a mancare, considereremmo sacrifici.

A fronte di dubbi e incertezze, Piero Angela, nel suo volume risponde così: “Per concludere come se ne esce? Dipende da noi… È come quando si è malati. Possiamo decidere se rifiutare di curarci. Oppure possiamo decidere di curarci in tempo, seguendo le terapie necessarie ed evitando che il male avanzi. In altre parole dipenderà da come e quanto la politica, l’economia, l’informazione e tutti coloro che contano nel nostro Paese si impegneranno in questa grande sfida. Attualmente ciò non avviene? No”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org