L’art. 613 bis del codice penale punisce con la reclusione da 4 a 10 anni “chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. Il nostro Paese, in sintesi, dopo un’intollerabile attesa di trent’anni, nel 2017 è riuscito ad approvare la legge contro il reato di tortura. Era il 1988 quando l’Italia, come ci ricordano Amnesty International e Antigone, si era impegnata a prevedere un reato che punisse i torturatori, ratificando la Convenzione dell’Onu. Per tantissimi anni, in particolare a destra, c’era chi aveva remato contro la codificazione del delitto di tortura affermando che non andassero criminalizzate le forze dell’ordine alle quali bisognava lasciare le mani libere.

Il nostro Paese è stato a lungo ostaggio di chi riteneva che la tortura fosse o dovesse essere considerata tale, chiamata e punita con il suo nome proprio, solo se consumata in qualche lurida camera della morte in Medio Oriente o in qualche paese asiatico. E non, come pure è accaduto, in una caserma della polizia stradale a Genova (a Bolzaneto, nei giorni del G8 di Genova del luglio 2001), sulla panchina di una piazza di Ferrara (Federico Aldrovandi), in una stazione dei carabinieri dove il giovane Stefano Cucchi aveva cominciato a morire, oppure, notizia recentissima, a Cuneo, dove sono indagati 23 agenti di polizia penitenziaria accusati proprio di tortura. Ebbene, il governo Meloni, tra i prossimi pacchetti di riforma, potrebbe intervenire anche sul reato di tortura.

“L’intenzione del governo di procedere alla modifica della legge contro la tortura è un attacco al sistema dei diritti umani e alla Costituzione repubblicana, tra i più gravi che il Governo possa compiere”, dichiara Patrizia Gonnella, presidente di Antigone. Oltretutto non c’è Paese democratico al mondo che, per salvare un manipolo di poliziotti accusati di questo reato, abbia cambiato in corso le regole del gioco mettendo mano al delitto. Ora, senza richiamare a sproposito il pericolo fascista ogni due minuti, il governo di Giorgia Meloni, dall’insediamento ad oggi, è molto più vicino alla realtà storica del fascismo di quanto non lo siano le sue edulcorate fantasie culturali che, ogni tanto, finge di proporre. L’ordine pubblico per governare tutto col manganello, dalla giustizia ai migranti, l’alleanza coi “ceti produttivi” che si traduce in una riforma fiscale regressiva e classista, il goffo opportunismo in politica estera e la doppiezza tra proclami patriottici e realismo servile ricordano le usanze dello “zio Benito” forse anche più di quanto la Meloni e i La Russa sappiano.

Per non parlare dell’attacco frontale contro il mondo Lgbtqia+, delle “politiche” sulla famiglia e sulle madri che regalano figli alla Patria, delle parole vergognose del ministro Lollobrigida, del familismo che regna sovrano in casa Meloni e in Fratelli d’Italia che ricordano molto gli intrecci familiari del mascelluto antenato. Questo nuovo tentativo del governo di rimettere mano a leggi dello Stato che tutelano i cittadini è un esempio lampante di qual è il pensiero ideologico a cui si fa riferimento. Ci sono voluti trent’anni per introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale, potrebbero bastare pochi mesi per annacquarlo, se non addirittura per abolirlo.

La giustizia ha bisogno di strumenti. Se questi strumenti vengono tolti o limitati non ci sarà mai correttezza, equilibrio, imparzialità, integrità, moralità, rettitudine, onestà. Viviamo in un momento storico difficile e pericoloso, dove la violenza assume contorni oscuri e paurosi; “legittimarne” l’uso o limitare la libertà dell’offeso di agire attraverso la legge, è un affronto alla democrazia e alla verità. Come scriveva il pacifista svizzero Pierre Ceresole, “questa idea di voler fare trionfare la giustizia tramite la violenza sembrerà un giorno così imbecille come ci sembra oggi l’uso della tortura per sapere la verità”. Era il 1915. Era la Prima guerra mondiale.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org