Sono passati cinquantadue anni da quel 12 dicembre del 1969 e quel giorno la storia di questo Paese cambiò. La bomba nella Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana, a Milano, è stata qualcosa di più di un attentato terroristico: quel filo nero dell’eversione fascista, da Avanguardia nazionale a Ordine nuovo, era il detonatore che molti apparati dello Stato aspettavano di veder esplodere per utilizzare ogni disordine, ogni paura, per giustificare qualsiasi sbocco autoritario e repressivo in grado di condizionare l’intero Paese. Destabilizzare l’Italia per mantenerla stabile in chiave autoritaria e anticomunista. Quel filo nero era l’avanguardia di un progetto i cui architetti sedevano nella sala di comando dello Stato. Il pomeriggio del 12 dicembre 1969 è il battesimo di un periodo che la storia dell’Italia ricorda come gli anni della “strategia della tensione” e dello stragismo fascista. 

Banca dell’Agricoltura- Piazza Fontana, Milano (foto di Maurizio Anelli)

Ma quel filo nero non poteva bastare, da solo, a realizzare il progetto, per farlo aveva bisogno di “architetti” di alto livello: pezzi dello Stato e della politica, funzionari di polizia, una buona parte degli organi d’informazione, uomini di azione legati agli ambienti fascisti e, soprattutto, quei Servizi segreti che qualcuno ancora oggi si ostina a chiamare “deviati”, quando nella vita reale i Servizi sono deviati per definizione, negli uomini e nei vertici di comando. Nelle relazioni e nei documenti della Commissione Stragi è scritto nero su bianco degli “accordi collusivi con apparati istituzionali”, ed è la storia a scrivere quella parte di verità che ancora oggi viene negata, perché il castello costruito sulle sabbie mobili non può crollare oltre certi limiti. Eppure, quegli anni raccontano di bombe nelle banche e nelle piazze, di stragi sui treni e nelle stazioni, e sono la nostra storia recente.

Qualcosa con cui questo Paese non vuole fare i conti: decine di processi, depistaggi e coperture, silenzi, fughe e latitanze decennali, condanne, assoluzioni. L’ultima sentenza della Corte di Cassazione, nell’anno 2005, stabiliva che la strage di Piazza Fontana era opera di “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo e capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura”, ma che gli stessi imputati non erano più perseguibili in quanto già assolti in precedenza e con giudizio definitivo dalla Corte d’Assise d’appello.

Sono passati cinquantadue anni da quel 12 dicembre del 1969 e quella ferita non può e non deve essere cicatrizzata. Sono state molte le mani che hanno messo quella bomba e aperto quella stagione delle stragi, e le mani di chi ha messo quella bomba hanno stretto la mano dello Stato per stringere un patto che li lega fino alla fine. A chi importava delle vittime di quel giorno? A chi importava della caccia agli anarchici aperta dopo poche ore dallo scoppio, per lavare la propria coscienza e le proprie mani sporche di sangue? Ad apparecchiare la tavola furono le menti “nere” dell’Italia di allora, ma a dare spazio e voce al linciaggio contro anarchici contribuì anche una parte consistente del mondo dell’informazione, e a puntare il dito furono anche giornali storici della Sinistra Italiana. Giuseppe Pinelli, Pietro Valpreda e l’intero mondo degli anarchici milanesi furono indicati come i mostri che misero la bomba.

Targa a Giuseppe Pinelli, Milano foto di Maurizio Anelli (foto di Maurizio Anelli)

Ecco allora che le vittime di quella strage sono una in più di quelle che le cronache hanno riportato per tanti anni e che molte ancora riportano: c’è stato un morto in più, ma il suo nome ha dovuto aspettare troppo tempo prima che la storia ufficiale gli restituisse la dignità rubata, quel nome è Giuseppe Pinelli. Ferroviere, anarchico, Partigiano, lui è stato il mostro da sbattere in prima pagina perché allo Stato serviva così: spostare l’ago della bilancia, dare la colpa agli anarchici e chiudere il discorso il prima possibile. Quel nome e l’uomo che lo portava sono morti nelle stanze dello Stato, le stanze della Questura di Milano, dove era trattenuto illegalmente ben oltre il tempo stabilito dalla legge dello Stato. Già, la legge…e lo Stato, quante volte sentiamo queste parole. Ma la legge e lo Stato troppe volte si nascondono, in Italia accade troppo spesso, e allora la Storia diventa memoria e la memoria si nutre e si coltiva un giorno alla volta, perché solo così si può trasmettere a chi viene dopo. La storia la scrivono gli uomini e poi, solamente dopo troppo tempo, la raccontano anche gli storici. Ma non tutti.

Sono passati cinquantadue anni da quel 12 dicembre del 1969 e quel filo nero non è mai stato interrotto. Altre stragi, altre bombe e altri morti, sono arrivate dopo quel 12 dicembre e, ancora oggi, i detonatori sono lì, pronti ad esplodere. Il tempo corre, l’eredità di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo è stata raccolta e continua il suo lavoro sporco. Le bombe nelle banche, nelle piazze e nelle stazioni non si mettono più, si scelgono altre strade per destabilizzare. Qualche nome della vecchia eversione qualche volta compare ancora nelle cronache, a ricordare che il passato non si cancella. Il passato ritorna sempre, con vestiti diversi ma solo perché diversi sono i tempi: l’inchiesta dei giornalisti di Fanpage sulla Lobby Nera che comanda nella destra milanese, il legame con Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, ci dimostra che quel filo conduttore esiste ancora: sposta equilibri, condiziona il quadro politico, muove soldi.

Quel filo entra nelle istituzioni, negli affari e nella finanza, e allora diventa difficile distinguere tra la destra istituzionale, che siede nei palazzi delle istituzioni anche con compiti di governo nazionale e locale, e quella destra estrema e fascista che scende nelle piazze, che assalta una sede sindacale, che cerca e minaccia i giornalisti scomodi, che cerca e crea legami con i movimenti neofascisti di altri Paesi. Quel filo esiste, e lo Stato non riesce e non vuole spezzarlo, eppure potrebbe farlo: la Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza, lo chiede.

Sono passati cinquantadue anni da quel 12 dicembre del 1969, oggi quel filo ha altri nomi: Forza Nuova, Lealtà Azione, CasaPound sono solo alcuni esempi. A Milano, come in altre città, queste organizzazioni, che non nascondono nulla delle loro idee e dei loro simboli, godono di una tolleranza da parte delle istituzioni che non è più accettabile; nelle loro fila ci sono picchiatori ultrà, naziskin, pregiudicati. Sono loro i nuovi leader dell’eversione nera. I nomi sono noti, così come i legami con una parte considerevole della classe politica.

Sì, è passato tanto tempo da quel giorno della bomba, così tanto che nessuno può e deve dimenticare. Così tanto che cinquantadue anni dopo quella piazza si riempirà ancora, come tutti gli anni, per ricordare che lo Stato, quello Stato, non ha vinto e non vincerà finché ci sarà memoria. Quella piazza si riempirà non una ma due volte, il 12 e il 15 dicembre, per ricordare che quello Stato ha ucciso due volte: la prima quando ha portato una bomba dentro una banca, la seconda quando ha aperto una finestra di una stanza della questura di Milano.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org