Lo smaltimento dei rifiuti è un problema globale che riguarda tutti da vicino, in quanto non si può affrontare l’argomento senza parlare di salute del nostro pianeta e di sopravvivenza della specie. Questa premessa è d’obbligo per non cadere nell’errore di ritenere che, una volta varcati i confini nazionali, i problemi smettano di riguardare noi cittadini italiani. Rimanere vigili su tutto il percorso di smaltimento e riutilizzo dei materiali è fondamentale per non lasciare il campo libero alle ecomafie. Troppo spesso capita che, appoggiandosi su associazioni criminali, aziende e privati cerchino di smaltire rifiuti in paesi stranieri come la Turchia, la Cina, l’India o il Pakistan. In questi Paesi quasi sempre non c’è attenzione alla rivalorizzazione dei materiali di scarto, che finiscono spesso per essere bruciati e trasformati dunque in inquinamento per il pianeta e pericoli gravissimi per la salute delle popolazioni indigene e, nel medio-lungo periodo, di tutti.

L’allarme in Italia è stato lanciato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) che ha denunciato un aumento vertiginoso della quantità di rifiuti bloccati da parte degli uomini delle dogane nell’ultimo anno. Una quantità che si è praticamente triplicata. Si è passati, infatti, dai circa 2 milioni e 250mila chili del 2019 ai quasi 7 milioni e mezzo del 2020. Il materiale principale è la plastica, che costituisce circa il 61% di questa montagna di rifiuti, con una fetta considerevole che riguarda i cosiddetti rifiuti Raee, elettrici ed elettronici. La maggior parte dei sequestri è avvenuta nei porti campani, calabresi e liguri.

Il direttore dell’Agenzia ha rivelato come il problema abbia vare sfaccettature. Da un lato, infatti, “l’attività del malaffare è in continuo movimento ed evoluzione per cui vengono modificati sia i punti di partenza che di destinazione” e, dall’altro, il problema più rilevante è “accertare la reale capacità dei soggetti esteri destinatari di gestire e recuperare tali materiali”. Capacità che spesso non c’è come denunciato da Greenpeace UK il mese scorso. La nota associazione ambientalista ha infatti denunciato un problema analogo in Gran Bretagna, con uno spot irriverente che raffigura Boris Johnson in Downing Street. Il premier britannico viene ricoperto da tonnellate di plastica mentre cerca affannosamente di difendere la posizione della Gran Bretagna sull’inquinamento della plastica, di cui il Paese è il principale produttore pro capite nel mondo.

Anche in questo caso sono i paesi dell’Est a farne le spese, primo tra tutti la Turchia che deve fare i conti con migliaia di tonnellate di rifiuti che dovrebbero essere riqualificati e invece vengono abbandonati e bruciati con danni esorbitanti agli ecosistemi, alla salute delle popolazioni indigene, agli oceani e in termini di emissioni. La denuncia di Greenpeace è ancora più grave perché riguarda i governi di alcune tra le principali nazioni europee, tra cui Gran Bretagna, Germania e Italia, che sarebbero responsabili di inviare in Turchia e Malesia la maggior parte della plastica che dovrebbe essere riciclata. Una denuncia forte che si poggia su dossier e studi che sottolineano come le quantità di rifiuti riciclati dichiarate da questi Paesi sarebbero incompatibili con i dati raccolti.

Quale che sia il responsabile di questa sciagurata situazione, resta il fatto che l’Asia occidentale, con la Turchia in testa, sta lentamente diventando la discarica dell’Europa. La plastica che produciamo non è sostenibile e a farne le spese sono questi Paesi in via di sviluppo e le relative popolazioni. Ammesso che i governi non siano responsabili dell’esportazione dei rifiuti all’estero, lo sono senz’altro per le politiche troppo morbide che non limitano affatto la circolazione di plastica, soprattutto monouso e che non contrastano a dovere le attività mafiose.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org