Dal 1° gennaio 2022 al 30 settembre 2023, ben 18 comuni sono stati sciolti per mafia in tutto il Paese. Questo è il dato che emerge dal report realizzato e pubblicato a fine 2023 da Avviso Pubblico, associazione che da diversi anni si occupa di analizzare la presenza e gli effetti della criminalità organizzata sul territorio nazionale. Nel dossier intitolato “La via della palma”, in onore di Leonardo Sciascia (secondo il quale la mafia si sarebbe spostata dai propri territori d’origine verso Nord, risalendo lo Stivale), si evince come l’Italia sia a rischio infiltrazioni mafiose e come nessuna regione sia esente da una così forte pressione criminale. Dal 1991 ad oggi, anno in cui venne emanata la norma di riferimento, sono stati ben 383 i decreti di scioglimento. Di questi, sono stati 6 quelli emessi al Nord, 5 solo nell’ultimo decennio. Ciò a dimostrazione di un problema che non sta affatto arrestandosi, ma al contrario sembra crescere e includere ogni lembo del territorio italiano.

Come dimostra il report di Avviso Pubblico, la Calabria è la regione che detiene il primato nella triste classifica dei comuni sciolti per mafia negli ultimi due anni, con ben 6 casi: Cosoleto, Portigliola, Scilla, Acquaro, Soriano Calabro e Rende. A seguire vi è la Campania con 4 (Castellammare di Stabia, San Giuseppe Vesuviano, Torre Annunziata e Sparanise), la Sicilia con 3 (Castiglione di Sicilia, Palagonia e Mojo Alcantara), a pari merito con la Puglia (Neviano, Trinitapoli e Orta Nova), quindi chiude il Lazio con 2 (Anzio e Nettuno). Per quanto riguarda la Calabria, inoltre, c’è un dato storico preoccupante, vale a dire il record di 66 scioglimenti complessivi nel periodo che va dal 1991 al 2023, una media di sei per anno, con diversi comuni sciolti almeno due volte o persino di più.

“Il dossier fotografa una costante presenza criminale e ‘ndranghetistica, evidente nel tentativo di condizionamento dell’economia legale e nell’infiltrazione della cosa pubblica”, ha dichiarato il Coordinatore regionale di Avviso Pubblico, Giuseppe Politanò, vicesindaco di Polistena (RC). “A fronte di amministratori impegnati quotidianamente contro le mafie – ha aggiunto – e convinti del fondamentale ruolo democratico delle istituzioni e della Politica nelle azioni di prevenzione, constatiamo invece il silenzio di chi non prende chiaramente le distanze dalle cosche locali, e anzi ne condivide interessi e comportamenti”. Il problema legato alle amministrazioni pubbliche è, in effetti, quello più urgente. Le modalità di infiltrazione e persino di corruzione sono sempre le stesse: i clan, infatti, si metterebbero in contatto con gli esponenti locali sin dalle prime battute delle campagne elettorali, con promesse di appoggi e di voti. Il tutto alla “sola” condizione di avere carta bianca sui propri affari una volta che il politico di turno abbia ottenuto il seggio.

Un do ut des così sistematico e ben oliato, tanto da sembrare una procedura ormai accettata da tanti politici e istituzioni locali. A proposito di ciò, gli enti comunali maggiormente colpiti dagli scioglimenti (e quindi dalle pressioni mafiose) sono tendenzialmente i più piccoli: dai dati raccolti, emerge che “il 72% dei Comuni sciolti per mafia dal 1991 ha una popolazione residente inferiore ai 20mila abitanti, il 52% inferiore ai 10mila abitanti”, mentre “solo l’8.5% aveva una popolazione residente superiore ai 50mila abitanti al momento dello scioglimento”. Tale trend è confermato anche “al Centro-Nord, dove l’83% della presenza mafiosa è nei comuni con meno di 50mila abitanti”. Ciò ovviamente non deve sorprendere: se da un lato si può pensare che vi siano meno opportunità di “business” per i clan, dall’altro vi sono dei punti a favore che non possono essere trascurati. Come ad esempio: una maggiore facilità di infiltrarsi nei meandri della cosa pubblica; una minore presenza delle forze dell’ordine (dovuta proprio a una popolazione più bassa) e, infine, un’attenzione mediatica tendente allo zero rispetto ai grossi centri.

Va anche considerato il fatto che sempre più comuni non meridionali sono invischiati in vicende di scioglimento o di forti pressioni. Questo è il caso di Anzio e Nettuno, nel Lazio, sciolti per ben due volte, oltre alla stessa Ostia, spesso protagonista di episodi spiacevoli, oltre che di una presenza mafiosa notoriamente consolidata. Tutto ciò, come ha tenuto a precisare Avviso Pubblico, “esprime la diffusione a macchia d’olio del fenomeno mafioso, capace di inquinare enti locali limitrofi con l’obiettivo di conquistare il controllo del territorio e di garantirsi un ruolo dominante anche nella gestione della cosa pubblica, a discapito della collettività”.

Dello stesso avviso è Pietro Grasso, ex presidente del Senato e presidente della fondazione “Scintille per il futuro”, secondo il quale il dossier di Avviso Pubblico “fotografa una situazione preoccupante, che denota la insostituibilità del vigente strumento di contrasto alle infiltrazioni mafiose, ma anche la necessità di una organica riforma della materia”. Per tale ragione sarebbe necessario che “il cittadino percepisse che quando arriva lo Stato le cose cambiano e in maniera duratura”. Un obiettivo che può essere realizzato in diversi modi: da un lato, secondo Grasso, vi è bisogno di maggiore “trasparenza, informazione e comunicazione” tra cittadinanza e nuclei di specialisti; dall’altro, in ottica operativa, andrebbero riconosciuti ai commissari “maggiori poteri d’intervento sulla burocrazia e maggiori risorse, umane, professionali e finanziarie per poter realizzare il ritorno alla legalità, magari anche dopo lo scioglimento, con un’opera di ‘affiancamento’ che accompagni l’ente locale in un definitivo percorso di risanamento”.

Insomma, le idee per risolvere o quantomeno contrastare efficacemente il problema ci sono e sono diverse. Il punto, come al solito, risiede nelle risorse effettive, oltre che nella volontà di trasformare tali idee in realtà pratiche e consistenti. Se è vero che gli esperti nel settore ci sono e che proprio tale expertise potrebbe aiutarci a tutelare la macchina pubblica dalle infiltrazioni della criminalità organizzata, è altrettanto vero che c’è sempre la sensazione che manchi quel quid che rende il tutto fattibile e realizzabile. Come se ci fossero due forze contrapposte in grado di far sì che le cose restino così come sono, in un perenne dondolio metaforico fatto di un immobilismo di cui questo Paese sembra pregno. E che si rispecchia perfettamente nell’immobilismo o perfino nel pericoloso arretramento della politica e del governo in materia di lotta alle mafie. Così come stanno denunciando da più parti magistrati, studiosi e osservatori del fenomeno mafioso. 

Il prossimo anno, come ci tiene a ricordare il presidente di Avviso Pubblico, Roberto Montà, si recherà al voto “il 46% dei Comuni italiani”. Per questo motivo, proprio “in vista di questo importante e delicato appuntamento, il nostro compito di amministratori, quello dei cittadini e soprattutto della politica a tutti i livelli, è quello di alzare le antenne e mettere in campo azioni concrete per prevenire e contrastare” ogni tipo di infiltrazione e pressione mafiosa. Le parole e le promesse non servono a niente. Urgono i fatti, i provvedimenti e, soprattutto, la volontà.

Giovanni Dato -ilmegafono,org