Esiste un grande rischio per l’ambiente, il clima e la salute, un rischio ormai certificato, dimostrato: quello che deriva dai danni prodotti dagli allevamenti intensivi. Ne ha parlato recentemente Greenpeace, nel suo rapporto “Soldi pubblici in ‘pasto’ agli allevamenti intensivi”. La celebre organizzazione ambientalista ha infatti commissionato una valutazione sull’uso dei fondi pubblici erogati tramite la Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea. Il rapporto si occupa, in particolare, di analizzare il settore zootecnico europeo e l’utilizzo dei terreni agricoli nel continente.

La questione è molto importante. Gli allevamenti intensivi sono un grandissimo problema perché, oltre a sottoporre gli animali a trattamenti orribili, contribuiscono a distruggere foreste e inquinare l’aria (attraverso le emissioni prodotte), l’acqua e il suolo. In più, ed è questo uno degli elementi più rilevanti del rapporto di Greenpeace, stanno sottraendo quote ingenti di terreni e soldi pubblici, mettendo in crisi parte del settore. In poche parole, la potenza delle grandi aziende che praticano allevamenti intensivi sta mettendo in ginocchio le realtà più piccole che puntano sulla qualità e sulla sostenibilità.

Ma andiamo con ordine: dal rapporto emerge che il “70% della superficie agricola dell’Unione Europea (coltivazioni, seminativi, prati per foraggio e pascoli) è destinata a produrre mangime e foraggio per gli animali, invece che cibo per le persone”. Come scrive Greenpeace, si tratta di “125 milioni di ettari di terra che in tutta Europa vengono usati per produrre mangimi o per il pascolo”.

Considerati i fondi erogati dalla Politica Agricola Comune (PAC), basati principalmente sulle dimensioni delle aziende, più i sussidi che sostengono direttamente la produzione di bestiame, il rapporto stima che al settore dell’allevamento, in particolare a quelli più intensivi e a chi coltiva prodotti destinati ai mangimi, vanno “tra i 28 e i 32 miliardi di euro di pagamenti diretti all’anno”. Vale a dire circa il 18-20% del bilancio totale dell’Unione. Una enormità. Ma non è finita qui. A ciò bisogna aggiungere, come denuncia Greenpeace, “la difficoltà di ottenere informazioni ufficiali sull’ammontare complessivo dei sussidi PAC destinati alla zootecnia, che è sintomatico di una preoccupante opacità del sistema”.

Questo si ripercuote sull’economia europea nel suo insieme, con la PAC che sta spingendo il sistema a puntare sempre di più sugli allevamenti intensivi. Il risultato è che, come mostrano i dati Eurostat, il 72% degli animali allevati in Europa proviene da aziende di grandi dimensioni a carattere intensivo. “Il numero totale di allevamenti – scrive Greenpeace in proposito – è diminuito di 2,9 milioni, ovvero di quasi un terzo, tra il 2005 e il 2013 a scapito solo delle aziende più piccole”.

Un trend che coinvolge anche il nostro paese che, tra il 2004 e il 2016, come segnala l’organizzazione ambientalista, “ha perso oltre 320 mila aziende (un calo del 38 per cento), ma il numero delle aziende agricole molto grandi è aumentato del 21 per cento, e di quelle grandi del 23 per cento”. Una situazione allarmante che riguarda tutti noi e il nostro futuro. Greenpeace, come sempre, non si limita all’analisi e a lanciare l’allarme, ma chiede la partecipazione di tutti, attraverso la petizione “Il pianeta nel piatto” che è possibile firmare cliccando qui. Noi lo abbiamo fatto.

Redazione -ilmegafono.org