La Lega entra nel cuore del potere siciliano. Entra al governo e lo fa prendendosi l’ufficio che avrebbe il compito di difendere la cultura e l’identità di un’isola che ha nel suo Dna la mescolanza, l’apertura, l’incrocio millenario di culture e razze. Oggi tutto questo dovrebbe trovare tutela da un partito razzista, retrogrado e chiuso, che da sempre considera la Sicilia e il Meridione un peso di cui liberarsi. E c’è di più: in Sicilia, grazie al nostalgico Nello Musumeci, si celebra anche il baccanale del fascioleghismo. In grande stile. Il nuovo assessore leghista, Alberto Samonà, giornalista e appassionato di esoterismo e massoneria, ha infatti anche la passione per l’archeologia del pensiero fascista. Il suo linguaggio, il suo modo di comunicare, le sue proposte, la sua partecipazione a eventi organizzati da associazioni e movimenti che al fascismo si ispirano, sono il marchio di fabbrica di una svolta all’indietro del governo regionale.

Un governo che continua ad annaspare nella palude di incapacità e ritardi che sono emersi con ancora più evidenza durante l’emergenza del Covid-19. Un governo che aveva bisogno di un appiglio politico e di rinsaldare il rapporto fra le componenti del blocco elettorale che portò alla vittoria di Musumeci e che cominciava a scricchiolare un po’. Tutto nella norma, dunque, tutto perfettamente dentro le dinamiche e i processi della politica. Non c’è da stupirsi molto, tecnicamente, dell’ampliamento del governo, perché all’elettore di Musumeci che oggi si sente tradito dal suo presidente al punto da scriverlo in tanti messaggi pieni di delusione, andrebbe ricordato che quando si dà un voto bisognerebbe avere più consapevolezza delle idee, dei simboli e delle alleanze a cui si dà fiducia con una crocetta.

Musumeci è stato sostenuto dalla Lega e questa è storia di cui si sapeva già ad urne aperte. Musumeci è anche un uomo di destra che non ha mai rinnegato la storia della destra del Novecento. Samonà è dunque l’uomo perfetto per sigillare l’alleanza con la Lega. Amico del presidente, politicamente alla perenne ricerca di una collocazione politica che renda meno evidenti le sue idee (Cinque Stelle prima, Lega adesso), rampollo della Palermo “bene” che frequenta trasversalmente i salotti della città e che quindi nutre rapporti anche con gli elettori o i notabili delle avverse fazioni politiche.

Samonà è la cerniera perfetta tra la Lega e Musumeci. Ed è anche la figura ideale per far scolorire l’apertura al partito nordista, che tante reazioni ha provocato tra i siciliani (compresi gli elettori di Musumeci), e far risaltare piuttosto il suo essere principalmente un giornalista dalle idee destrorse piuttosto estreme. Elemento, quest’ultimo, che viene più facilmente accettato e digerito dall’elettorato siciliano che si è lasciato già incantare dalla truppa di quel “Diventerà bellissima” che oggi rivela sempre di più la vacuità di uno slogan privo anche della sacralità di una promessa. Poco importa che Samonà sia anche un collaboratore di Libero, testata diretta e fondata da quel Vittorio Feltri contro il quale molti siciliani si scagliarono con rabbia dopo le sue dichiarazioni che definivano inferiori i meridionali. Per inciso, tra questi rabbiosi indignati da tastiera vi erano anche molti che oggi salutano con entusiasmo o senza batter ciglio l’ascesa di Samonà all’importante assessorato regionale che fu del compianto Sebastiano Tusa.

Va tutto bene, adesso. Sembra che la scelta di Samonà abbia messo tutto a posto. “È leghista, certo, ma è siciliano”. Magari alla Lega “è solo di passaggio, come fu nei 5 stelle, alla fine lui è SOLO un uomo di estrema destra”. In questo è stato furbo Musumeci, perché è riuscito a mettere in secondo piano la Lega. L’ha nascosta dietro l’identità fascista dell’assessore, quindi nulla di clamoroso per una buona parte dei cittadini, che di fatto hanno già scelto un fascista anche alla guida della Regione. Poco importa che l’identità fascista di Samonà sia stata espressa attraverso post imbarazzanti contro l’antifascismo e contro il presidente della Repubblica, o attraverso la proposta di intitolare in ogni città una via ad Almirante, o ancora con il saluto funebre (alla maniera fascista) al camerata Stefano Delle Chiaie, personaggio oscuro dell’eversione nera negli anni di piombo. Per non parlare della sua partecipazione a dibattiti organizzati da gruppi sovranisti di estrema destra come Il Primato Nazionale o Audaces.

A ciò si aggiungono le interviste a Giusva Fioravanti (con l’obiettivo di assolvere la storia fascista e smentire i passati contatti tra mafia ed estrema destra) e gli articoli su Libero nei quali il neoassessore mette in mostra lo “stile linguistico”” del giornale di Feltri. Questo è quindi l’uomo al quale si consegna la cultura siciliana. Questo è l’uomo che dovrebbe tutelare l’identità aperta e accogliente dell’isola, rinunciando ai suoi pregiudizi identitari macchiati dall’ideologia del vecchio regime. A lui Musumeci affida le chiavi della nostra bellezza, e lo fa con convinzione. Addirittura il presidente risponde alle critiche piovute su di lui per questa scelta politica con l’insulto verso chi dissente. Sono “una sparuta minoranza” di persone, ha detto Musumeci, alcune delle quali con “problemi personali e familiari”, insomma un gruppetto di disagiati che vorrebbe “sequestrare la democrazia” (clicca qui). Democrazia, una parola che spesso viene abusata, come nel caso di un presidente che offende il dissenso del popolo del quale ha svenduto la storia e la fierezza, aggiungendo anche frasi molto gravi.

Nessuno contesta la legittimità procedurale di una scelta politica, nessuno ha parlato di attentato alla democrazia, ma di dignità e di moralità che purtroppo non sono questioni di procedura o di legittimità, ma sono questioni di spessore politico. Qualcosa che non compri a una svendita. Forse prima di usare la parola democrazia il presidente avrebbe fatto meglio a spiegarne il significato a se stesso e poi a chi ha scelto di avere al suo fianco, magari ricordando al suo nuovo assessore che le istituzioni di questo Paese devono fedeltà alla Costituzione, che è frutto dell’antifascismo e dell’abbattimento di un regime e di una ideologia rispetto ai quali l’apologia è vietata, perché costituisce reato. E non sarebbe male aggiungere anche che gli onori funebri a un eversivo per anni latitante, sul quale peraltro pende il sospetto di essere stato parte attiva di un fallito golpe, non è un biglietto da visita che si ripulisce con qualche retorico appello alla democrazia.

Un’ultima cosa: dire, come ha fatto Musumeci, che “la gente per bene non parla” significa mettere un marchio di autorità e omertà sul dibattito politico e ci riporta, almeno nel linguaggio, a un passato triste e sanguinoso e a una sottocultura contro cui la Sicilia migliore ha combattuto e combatte ancora.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org