Il Covid-19 non ha smesso di produrre i suoi effetti. Non solo per quel che riguarda la sua portata virale, ma anche per quel che concerne la sua capacità spietata di mettere a nudo le fragilità della nostra società. Soprattutto in Italia. Nel Paese dell’ossessivo refrain “andrà tutto bene”, delle canzoni sui balconi, degli arcobaleni, del vogliamoci bene, delle tante iniziative di solidarietà, la realtà si è ripresa il suo posto. Lo ha fatto a distanza di tempo, dopo aver lasciato a molti l’illusione di un cambiamento in positivo che non c’è stato. Siamo sempre la solita Italia, un Paese stagnante tra rabbia, lamentele diffuse, odio feroce. E naturalmente razzismo. Non abbiamo imparato nulla da questo anno orribile, dai mesi di clausura forzata, dalla crisi, dall’essere tutti egualmente in pericolo, dall’esser stati discriminati, trattati da untori.

Non abbiamo riflettuto abbastanza, probabilmente perché siamo una nazione non più capace di riflettere e interrogarsi, di guardare la realtà partendo dai limiti della propria coscienza e delle proprie concezioni. Abbiamo vissuto mesi a proteggerci per evitare di essere contagiati e di contagiare, abbiamo mostrato, in buona parte, rispetto per le misure di protezione e di sicurezza, accettandone i costi di ordine economico e sociale. Gli infetti e i potenziali untori eravamo noi, tutti noi, senza distinzione di ceto, cultura, credo religioso o politico, razza, orientamento sessuale. Il Covid è democratico, colpisce tutti, non guarda in faccia nessuno. Qualcuno ha provato a incorniciarlo dentro confini precisi, ma non ci è riuscito, perché i dati e i morti hanno smentito subito qualsiasi etnicizzazione o categorizzazione del malato.

Ma in questo Paese basta attendere un po’ e far allontanare la memoria. E nel frattempo sperare che arrivi il pretesto per cancellare la logica, la razionalità e far riaccendere la vergogna, riattivare i vizi che non sono mai scomparsi ma che semplicemente se ne stavano nascosti fra le migliaia di notizie dedicate al virus. È bastato che il virus colpisse anche dei migranti, dei naufraghi a bordo di una nave. Qualcosa di ovvio perché il contagio può riguardare tutti, indistintamente. Seppure i casi di Covid sui naufraghi arrivati in Italia siano stati molto pochi rispetto alla media dei contagiati italiani, il solo accostamento tra virus e migranti ha eccitato i razzisti nostrani, restituendo loro un vecchio cavallo di battaglia, quello fasullo delle malattie, la grande bugia in base alla quale gli stranieri (non tutti, solo quelli provenienti da paesi poveri e possibilmente di pelle nera…) sarebbero portatori di spaventose patologie infettive.

Così, nel giro di pochi giorni, leader sovranisti in crisi di consensi hanno immediatamente riacceso il proprio fuoco marcio, spesso perfino contraddicendo se stessi. Dalla protesta contro il prolungamento delle misure di prevenzione, con tanto di minimizzazione della portata del virus, si è passati in un attimo alla preoccupazione per l’emergenza virus, condita con il ritorno di slogan triti e odiosi come la chiusura dei porti. Il razzismo, si sa, è più forte della coerenza e del buonsenso e, purtroppo, non appartiene solo ai leader nazionali, ma anche a istituzioni regionali e a semplici cittadini. La retorica della solidarietà che aveva attraversato l’Italia, con manifestazioni che ostentavano amore per il Paese e per l’umanità, si è frantumata sotto le feroci oscenità delle parole, degli insulti e delle azioni.

Si è dissolta nel timbro razziale dei contagi, nella divisione dei contagiati in italiani e migranti (vedi bollettino della Regione Calabria), nelle proteste dei luoghi nei quali i migranti sono stati mandati in quarantena per la sicurezza loro e di tutti. Sia chiaro, è tutto strumentale, è tutto oscenamente misero. Miseramente razzista. È puro disprezzo per i più deboli, per gli ultimi, perché questo livore si indirizza solo verso i più poveri, gli stranieri senza portafoglio, quelli che non vengono qui da turisti a spendere e che è possibile spennare nelle nostre strutture alberghiere, nei negozi di souvenir, nei ristoranti che approfittano per adottare rincari salatissimi. Questi ultimi vanno bene, anche se potenzialmente più pericolosi, perché nessuno li ha controllati e nessuno ha eseguito un tampone su di loro.

Gli altri, i poveri, quelli scappati da fame e guerra, quelli arrivati dopo un viaggio estenuante, quelli che certificano il nostro vero grado di civiltà e accoglienza, quelli che invece siamo pronti ad accettare solo come schiavi, diventano di colpo il problema numero uno. Nonostante siano sottoposti a controlli e messi in quarantena e quindi non abbiano alcuna pericolosità. Questa è l’Italia oggi. Un’Italia crudele a tal punto da non avere nemmeno il pudore della logica e del raziocinio. Ma d’altra parte il razzismo è questo, lo è sempre stato. E fa comodo a chi gioca con il consenso e lo costruisce con le menzogne e con la propaganda, ma è utile anche a chi cerca alibi per sentirsi migliore.

Le bare di Bergamo non ci hanno insegnato nulla. Così come nulla ci hanno insegnato i medici e gli infermieri morti facendo il proprio lavoro, pronti a morire pur di salvare vite, qualunque vita di qualunque ceto, etnia, idea politica. Tutto è stato smarrito nel ritorno alla normalità, alla peggiore normalità possibile. Nessun miglioramento, nessuno spunto di riflessione sull’importanza della solidarietà. Perché questo è un Paese che non impara mai le lezioni, probabilmente per via del suo essere sempre più analfabeta, sia emotivamente sia politicamente e culturalmente. No, non è andato affatto tutto bene. Al contrario, il Covid ci ha reso peggiori, perché ha esacerbato l’effetto di altri virus, quelli culturali e sociali, che sono persino più violenti, perché più resistenti e difficili da debellare con un solo vaccino.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org