In un Paese normale, con una morale rotonda e salubre, davanti alla morte di decine di persone, per annegamento o ipotermia, a due passi dalla costa, i ministri competenti e il capo del governo si sarebbero dimessi per senso di responsabilità. In un Paese normale, regolato da leggi orientate al rispetto di tutti quei principi che costituiscono la spina dorsale di una nazione civile, la priorità sarebbe stata quella di comprendere le dinamiche e di rispondere, con chiarezza e con l’impegno reale a identificare le responsabilità interne alla catena di comando. In un Paese normale, con una democrazia rimarginata e incerottata ma sana, un ministro dell’Interno non avrebbe mai dovuto né potuto affermare che la colpa di una strage è delle vittime o di chi quella e altre stragi le denuncia e fa di tutto per evitarle. L’Italia, però, non è un Paese normale, ma una comunità sempre più infettata da un virus feroce, capace di attecchire rapidamente e consumare gradualmente gli organi vitali del tessuto democratico e dei valori costituzionali che lo alimentano.

L’Italia è affetta da una patologia che va oltre l’aspetto culturale e tocca il campo dell’antropologia. C’è qualcosa che è cambiato, che è stato modificato da anni di propaganda, menzogne e mutamenti di quelli che sono i valori fondanti di una comunità civile. L’evidenza di questo cambiamento è rintracciabile nei governi che si susseguono da tempo e, ancor più, in quest’ultimo, guidato da Giorgia Meloni. Quello che ha Matteo Salvini ministro delle Infrastrutture e l’ex prefetto Matteo Piantedosi ministro dell’Interno. La drammatica notte di Cutro sarebbe stata fatale per qualsiasi ministro, che sarebbe rimasto inevitabilmente arrotolato nell’infinita rete di lacune, ambiguità, mancanze, silenzi e accuse. Sarebbe bastato anche quel senso di colpa e di disperazione umana di fronte a un naufragio che, al di là delle singole responsabilità sulle quali la magistratura proverà a far chiarezza (si spera), era sicuramente evitabile, così come erano evitabili le vittime inghiottite dal freddo e dalle onde per via dell’abnorme ritardo dei soccorsi.

Ma per sentirsi colpevoli, per provare un senso di fallimento davanti alla morte di così tante persone, bisognerebbe essere capaci di umanità, provare empatia verso il prossimo. Doti che il ministro dei decreti anti ong non ha mai mostrato di possedere. Così come non mostra di possedere le qualità politiche che suggerirebbero maggiore prudenza nell’esprimere quelle che, con una certa fantasia, potremmo definire opinioni. Mentre, a un mese dalla strage del 26 febbraio, il governo continua a non fornire chiarimenti concreti, il ministro Piantedosi continua a mostrare tutta l’irritante inadeguatezza sua e del governo di cui fa parte. Dopo aver colpevolizzato e oltraggiato le vittime del naufragio, dopo aver snobbato le richieste dei familiari delle vittime, ha aggiunto un’altra perla: la colpa dei naufragi, secondo il ministro, è di quella parte di opinione pubblica che, con un atteggiamento culturale accogliente e solidale, costituirebbe un fattore attrattivo.

Come se un essere umano non fugga per scampare al terrore della propria terra natale e, successivamente, all’orrore e alle violenze della Libia, bensì perché affascinato dall’opinione pubblica antirazzista che, per fortuna, difende i principi della solidarietà e della democrazia, in Italia e in Europa, opponendosi alle costanti violazioni dei diritti umani da parte degli Stati e dei loro governi. Piantedosi, insomma, continua a definire il mondo circostante sulla base della sua minuscola e agiata esperienza di vita in questo pianeta. Invece di rispondere nel merito e di fare un passo indietro, rilancia sfrontatamente. Non è il solo, purtroppo. A fargli compagnia sono la premier Meloni e la Guardia Costiera, che dipende dal ministero diretto dal solito Salvini. Se la linea di Giorgia Meloni è quella surreale e crudele di fermare le partenze e allontanare soccorritori e testimoni dal mar Mediterraneo, semplicemente costringendo i migranti a morire altrove, quella della Guardia Costiera supera qualsiasi immaginazione.

Anche quest’ultima, infatti, invece di rispondere a domande importanti, ad esempio spiegando perché a Cutro, nonostante quanto segnalato anche da Frontex, non sia uscita tempestivamente in mare a soccorrere i naufraghi e ad evitare la strage, decide di contrattaccare. E il suo bersaglio non è la politica e nemmeno l’Europa. No. Sono le ong, accusate di intasare le comunicazioni e intralciare i soccorsi. In poche parole, le ong sono ritenute colpevoli di lanciare gli allarmi per avvisare che in mare ci sono imbarcazioni in difficoltà e che è il caso di intervenire per salvare le persone a bordo. Salvataggi che poi non sempre avvengono, e non certo per l’intasamento dei canali di comunicazione, ma perché non si fa in tempo o si decide di non intervenire per ragioni politiche e perché non esiste una missione europea di pattugliamento e soccorso.

Addirittura accade, come successo alla MV Louis Michel, nave dell’omonima ong, di essere sanzionati e fermati per aver svolto altri tre salvataggi e non essersi fermati al primo, disobbedendo all’ordine (figlio del vergognoso decreto Piantedosi) di effettuare un solo soccorso e ripiegare subito al porto di Trapani. Oppure accade, come successo alla Ocean Viking di Sos Mediterranee, che la Guardia Costiera libica (complice nel traffico di esseri umani) ti spari contro per impedirti un’operazione di soccorso a un barcone a bordo del quale, peraltro, i migranti stavano subendo violenza. E accade che, davanti a questo orrore, la Guardia Costiera italiana, invece di stigmatizzare i colleghi libici, accusi la nave ong, rea di voler salvare quelle persone evitando che venissero riportate in Libia dove, dopo nuove torture ed estorsioni, saranno rimesse in un altro barcone, dentro un altro viaggio della morte.

Siamo davanti a una situazione paradossale e terribile: da un lato, si fa la guerra a chi è solidale, dall’altro si legittima la violenza e l’omicida violazione dei diritti umani. Tutto con la regia di un governo che governa allo stesso modo in cui faceva opposizione o post sui social, vale a dire con gli slogan. Con parole di una superficialità e di una indifferenza imbarazzanti, che ricordano le peggiori espressioni dei poteri autoritari passati attraverso le pagine più buie della nostra storia. Di quella mondiale, europea e naturalmente italiana. Con l’aggravante che quella italiana conserva ancora i legami ereditari di quei poteri, e perfino i simboli, le idee e il linguaggio. Godendo peraltro di una certa libertà di azione, considerato che di resistenze politiche organizzate, al momento, non se ne vedono molte. Pressoché assenti, così come sono assenti le risposte di Meloni, Piantedosi, Salvini e della Guardia Costiera alle domande sulla strage di Cutro e sui suoi responsabili reali.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org