Il momento è arrivato. La sintesi finale di anni di ipocrisia, retorica, falsa coscienza è stata buttata sul tavolo concreto dell’azione. Un tavolo da obitorio, nel quale la nostra “civiltà” viene sezionata, sottoposta ad una autopsia che, come esito, certificherà il decesso per disumanità. E darà ragione a chi da anni continua ad avvertire, a distruggersi il fegato, a disintegrare menzogne che sembrano mostri da film horror, capaci di rigenerarsi, riproporsi costantemente e continuare ad essere credute. Gli sguardi seri e tristi e il cordoglio sulle facce e nelle parole di molti esponenti politici, dopo la strage del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, a molti di noi erano apparse spudoratamente finte, poco credibili, irritanti.

Erano un mantello ricamato di falsa pietà per coprire la sporcizia di anime oscure, di freddi calcolatori che, anche davanti alla tragedia, erano molto più attenti a non mostrarsi troppo tristi o troppo poco tristi, in modo da non deludere nessuno dei propri elettori o di quelli ancora da conquistare.

Quando lo scrivevamo, quando ci siamo permessi di richiamare le responsabilità dei lacrimatori di coccodrillo, quando abbiamo chiesto, come segno tangibile di ravvedimento sincero, di creare almeno corridoi umanitari e di occuparsi di garantire i diritti ai vivi, sia quelli in arrivo che quelli già arrivati e trattati come moderni schiavi, abbiamo ricevuto attacchi o silenzi. Sono passati tre anni e pochi mesi da allora e abbiamo assistito quotidianamente a orrori su orrori. I continui morti in mare, i profughi respinti alle frontiere dell’Est Europa, i muri, gli accordi criminali con la Turchia, le condizioni terribili dei migranti nelle tendopoli, un’Europa divisa, egoista e incapace di superare i limiti normativi all’accoglienza diffusa: ecco come si è evoluta la retorica del 3 ottobre.

Anche in Italia, dove il precedente governo di Renzi e Alfano, a parte un linguaggio meno rozzo e una normativa non del tutto esaustiva contro il caporalato, si è distinto per una totale inerzia di fronte al sistema delinquenziale e affaristico delle strutture di “accoglienza” e ha basato la sua linea politica in tema di immigrazione principalmente su una continua richiesta d’aiuto all’Europa e su un richiamo alle responsabilità dell’Unione. Scelta sicuramente legittima, se si utilizza come contrappeso il meritevole operato della nostra Marina Militare nel salvataggio di naufraghi, ma poco efficace di fronte all’assenza di un sistema di accoglienza virtuoso. Ad ogni modo, quel governo non c’è più, o meglio, sono cambiati il suo leader e, in particolare, due ministri in ambiti molto importanti e strategici.

Il premier attuale, Paolo Gentiloni, è l’ex ministro degli Esteri, protagonista nel suo ultimo mandato alla Farnesina di una politica di accordi imbarazzanti con paesi guidati da regimi autoritari, come, per fare un esempio, il Gambia del dittatore Jammeh, lo stesso che, sconfitto a sorpresa alle ultime elezioni presidenziali, si rifiuta ora di lasciare il potere. Con questo signore, Gentiloni ha siglato, nel giugno 2015, un accordo che prevedeva forniture, supporti logistici e corsi di formazione da parte dell’Italia, in cambio di rimpatri e di un freno alla migrazione di gambiani (tra cui anche gli oppositori al regime militare) verso l’Europa. Al posto di Gentiloni, agli Esteri, adesso siede Angelino Alfano, il quale, per liberarsi dall’incubo di gestire il tema immigrazione, ha lasciato gli Interni al nuovo entrato Marco Minniti.

E la strategia è mutata. Complice un fatto di cronaca, riflesso di un attentato terroristico. Perché per motivare una nuova strategia, c’è sempre bisogno di un fatto. Soprattutto per trovare giustificazioni alla tua vera faccia, quella tenuta spesso nascosta, anche se facilmente visibile a chi ha un po’ di memoria e ricorda, non dimentica, non si fida e mai si è fidato. Era il 2008 quando Maroni stringeva accordi con la Libia, allora sotto la guida di Gheddafi, e dava inizio alla politica dei respingimenti in mare che poi ci sono valsi la condanna della corte europea di Strasburgo. Nel Pd, all’epoca, a parte l’allora segretario Franceschini, la reazione non fu particolarmente indignata. Si disse che i respingimenti non erano sbagliati in linea di principio, ma solo perché non si svolgevano dentro la cornice del diritto internazionale.

In poche parole, non erano legali. Il fatto che fossero disumani contava poco per la classe dirigente del partito, a cominciare da Bersani, Rutelli e D’Alema, le cui timide dichiarazioni dell’epoca fanno ancora ribollire il sangue. Il motivo era semplice: contestare la scelta criminale di Maroni e del governo Berlusconi, ma al contempo non esagerare, in modo da ammiccare a quell’elettorato conservatore, razzista e benestante che, soprattutto, al nord, all’epoca già rappresentava lo zoccolo duro della Lega e del suo crescente consenso elettorale. Una vergogna. Mai quanto quella di questi giorni, che certifica ancora una volta l’indebita appropriazione del termine “sinistra” da parte del Pd.

La circolare Minniti, che parla di restaurazione dei CIE, di espulsioni immediate degli irregolari e di chi non ha diritto all’asilo è il segno della vera faccia di una maggioranza e di un partito che hanno rotto gli indugi e scelto di sfidare la destra, la Lega e Grillo sullo stesso terreno del populismo, della sottocultura e della xenofobia. Non c’è spazio per la discussione, non si fa differenza tra terroristi (veri e presunti) e migranti, non si prendono in considerazione le cause endogene dello status di irregolare di molti migranti o la lacunosa e iniqua disciplina relativa al diritto di asilo. Non si prendono in considerazione inoltre (e figuriamoci!) i migranti economici, che sono coloro i quali hanno contribuito e contribuiscono alla sopravvivenza economica dell’Italia (producono l’11% del Pil e hanno un impatto rigenerante e positivo sul nostro altrimenti moribondo sistema di welfare). Nulla.

Tutti fuori. Tutti espulsi, senza se e senza ma. Ma per i rimpatri e le espulsioni sono necessari accordi con paesi terzi, o meglio con quelli di provenienza. Se per i paesi in guerra ciò è ovviamente impossibile, per quelli non in guerra qualche spiraglio c’è, a patto che si tratti di stati sicuri, nei quali il migrante rimpatriato non rischi la propria vita. Ma Minniti non si fa scrupoli e segue l’esempio di Maroni, siglando un accordo con la Libia, una nazione segnata dalla violenza, una delle aree più turbolente del Mediterraneo, dove i migranti hanno già vissuto e vivono inferni terribili nel loro viaggio verso l’Europa. Un luogo nel quale si ripetono stupri, violenze, torture, esecuzioni, decapitazioni.

Ma cosa importa a Minniti e al governo Gentiloni? Cosa importa a questo Partito Democratico e ai suoi alleati? Le elezioni potrebbero essere dietro l’angolo, e allora per vincere, per superare a destra Lega e Cinque Stelle e batterli, serve concretezza brutale. D’altra parte è questo il Pd. Questa è la vendetta di Renzi e della sua area, che non hanno rinunciato a portare avanti la loro strategia di conquista dell’elettorato di destra, preferito a quello di sinistra, per il quale essi provano fastidio e allergia. Allora, via con la politica xenofoba dell’etichettamento, con le espulsioni rapide e ingiuste, con accordi con una Libia instabile che prevedono anche la chiusura della frontiera con il deserto del Niger, da cui arrivano i migranti. Un muro armato per rimandare indietro chi da quel deserto dovesse riuscire ad arrivare esausto ma vivo. Indietro, verso la morte.

L’Italia sarà così la porta di ferro dell’Europa mediterranea. Sarà il pugnale sul cuore dei disperati. Alla faccia di Papa Francesco e dei diritti umani, della solidarietà e dell’umanità. Minniti come Maroni, il Pd come la Lega e Salvini. Hanno deciso di puntare sul marcio del sentimento razzista che popola l’Europa, per riceverne consenso e legittimazione, potere e riconoscimento. Chiudono i confini geografici e umani per spalancare quelli del proprio elettorato di riferimento. Le elezioni sono tutto per questa politica vuota, ignobile e servile. Si può passare sopra ogni cosa, pur di rimanere in vetta.

Si può passare sulle proprie antiche origini solidaristiche e internazionaliste, si può persino partecipare al genocidio, al massacro, alla morte di innocenti sulla cui pelle si giocano piccole beghe di potere. Era, evidentemente, il desiderio più nascosto di questo finto centrosinistra. Che oggi è pronto a realizzarlo, liberato dal suo labile pudore umano, scatenato nella sua crudeltà d’animo e di pensiero. Concorso in omicidio plurimo: non esisteranno parole diverse. E questa volta, la retorica e l’ipocrisia potranno misurarla e vederla tutti. Anche gli ottusi e i fanatici.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org