“So di dover morire, me lo hanno detto ma non ho paura, io sono un Carabiniere!”. Sono queste le ultime parole di Salvatore Nuvoletta, giovane carabiniere di soli 20 anni, ucciso da un commando camorristico a Marano (NA), il 2 luglio 1982. La tragica fine del giovane fu la conclusione di una vita che, seppur breve, aveva visto nella legalità e nella giustizia il centro di tutto, il punto cardine della propria esistenza. Salvatore Nuvoletta, figlio di semplici commercianti di frutta e verdura, aveva solo 17 anni quando decise di arruolarsi nell’Arma seguendo le orme dei fratelli maggiori. Venne subito assegnato alla caserma di Casal di Principe, territorio in mano ai casalesi, luogo non certo facile né oggi, né a maggior ragione all’epoca. Ci troviamo a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 e in Campania si registrano morti ammazzati nell’ordine di 150-200 vittime all’anno. Una vera e propria carneficina.

Nonostante ciò, il coraggio di Nuvoletta non viene meno e, proprio in quegli anni (dal ‘79 all‘82), si fa notare per la propria professionalità e la voglia di far rispettare le regole, sempre, pur dinnanzi a dei colleghi fin troppo morbidi o timidi con la realtà circostante. Un coraggio, quello del giovane, che lo ha portato persino a fermare per un controllo Mario Schiavone, noto a tutti come “Menelik”, cugino di Francesco “Sandokan” Schiavone oltre che autista e uomo di fiducia del boss dei casalesi Antonio Bardellino. Qualche mese dopo, lo stesso Mario Schiavone viene ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri ed è proprio da quel momento che la vita di Salvatore Nuvoletta prende una tragica piega. A seguito della morte del cugino, “Sandokan” pretende vendetta e minaccia i carabinieri di far saltare la caserma nel caso in cui non fosse venuto fuori il nome del militare che ha fatto fuoco.

Il tutto avviene in pubblica piazza, con Francesco Schiavone che, noncurante della situazione, osa schiaffeggiare il maresciallo Gerardo Matassino davanti a tutti. Solo successivamente, e proprio grazie alle rivelazioni di diversi pentiti, si venne a scoprire che lo stesso maresciallo fosse a libro paga del clan dei casalesi. Il fatto scuote Nuvoletta, che pure non era presente il giorno del conflitto poiché in caserma. Proprio in caserma incominciano a circolare voci strane, voci di un sacrificio da dover fare per evitare il peggio. Voci che citano il suo nome, il nome di un ventenne che aveva come unico obiettivo quello di far carriera nell’Arma e di sposarsi presto per mettere su famiglia. Obiettivi di un uomo normale in un mondo normale, se solo non si fosse trovato in una terra martoriata dalla violenza mafiosa e da un’illegalità diffusa e tollerata.

Qualche giorno prima di morire, lo stesso Nuvoletta riferirà alla madre quelle parole colme di rassegnazione, eppure al tempo stesso dal coraggio immane: “So di dover morire – avrebbe detto – ma io non ho paura, sono un Carabiniere”. Il coraggio, la forza e la determinazione del giovane non vennero meno neppure nel momento stesso della morte. Il 2 luglio del 1982, mentre si trovava a Marano, suo paese natale, in compagnia della famiglia e del piccolo nipote Bruno di soli 9 anni, un commando di killer si avvicinò a lui e lo uccise con una raffica di proiettili. Nuvoletta, pur in un momento così tragico, ebbe l’istinto di gettare per terra il piccolo (che teneva in braccio) e così salvargli la vita. Per tanti, troppi anni, il caso dell’omicidio del giovane carabiniere è stato vigliaccamente nascosto o addirittura coperto di fango. Ci fu qualcuno, infatti, che vide proprio in quel cognome (uguale a quello di famiglie mafiose della zona) la causa della triste fine.

Soltanto nel 1996, grazie all’operazione Spartacus 2, che portò all’arresto di decine di affiliati al clan dei casalesi (tra cui il temibile boss Carmine Schiavone) e grazie alle rivelazioni degli arrestati e dei collaboratori, si vennero a scoprire i dettagli che portarono alla decisione di uccidere Nuvoletta. I carabinieri (e quindi lo Stato) avrebbero dovuto pagare per l’affronto commesso nei confronti della famiglia Schiavone e Nuvoletta, che era il più giovane e quindi il più indifeso, fu a tutti gli effetti la vittima sacrificale perfetta. Un’altra vittima di mafia che ha pagato con la propria vita quella voglia di legalità e giustizia che, per fortuna, accomuna tante altre persone in questo Paese. Proprio per questo, la sua storia non è stata dimenticata. Nel 2003, infatti, a Salvatore Nuvoletta è stata conferita la Medaglia d’oro al Merito Civile alla Memoria. Nel 2009, a Casal di Principe, in un bene confiscato proprio a Francesco Schiavone, è stato inaugurato un Centro Sportivo Polivalente dedicato al carabiniere ucciso, mentre nel 2011 è lo stadio di calcio di Marano a prendere il suo nome, così come il presidio di Libera a Casal di Principe.

E poi non possiamo non citare Roberto Saviano che, nel suo celebre romanzo “Gomorra”, ha voluto raccontare la storia e il sacrificio di Salvatore e il gesto eroico compiuto nell’ultimo atto di vita. Se è vero che la memoria va conservata e protetta a ogni costo, è ancor più vero che questa, spesso, riporta alla realtà eventi tragici, che fanno male ancora oggi. Un dolore che permette di far capire il coraggio e il valore immenso di chi non ha abbassato la schiena davanti alle mafie e alla loro violenza vigliacca. A 41 anni di distanza, siamo convinti che sia ancora più importante onorare la memoria di questo giovane carabiniere, che amava la verità e la giustizia. 

Giovanni Dato -ilmegafono.org