Ai bambini accade spesso di sentirsi dire che, se ci si comporta bene, si riceverà in cambio una ricompensa. Una maniera per abituarli al dovere, un dovere che poi viene ripagato con un premio. Di solito si tratta di cose molto piccole: un dolcetto, una caramella, un gioco. Man mano che si cresce, il dovere richiesto comincia ad essere più importante (studiare, lavorare, ecc.) e ad esso di solito può corrispondere una ricompensa dal valore maggiore. Mai avremmo pensato che questo semplice meccanismo infantile si sarebbe trasformato nel criterio per assegnare o meno la cittadinanza. Che, è meglio ricordarlo, non dovrebbe essere un premio, bensì un diritto.  Un diritto che andrebbe regolamentato in maniera logica, aperta, solidale.

Perché riconoscere diritti è l’unico antidoto all’emarginazione, è il rimedio reale contro l’abnorme bugia dell’emergenza sicurezza. La vicenda di Ramy e Adam ha messo a nudo tutta la pochezza politica e culturale del nostro Paese. In mezzo al dibattito ci sono finiti due studenti che sognavano la cittadinanza italiana. Uno di loro, Ramy, inizialmente aveva chiesto che andasse anche a suo fratello e ai suoi compagni “di origine straniera che vivono in Italia e magari sono pure nati qui”. Una richiesta legittima, la posizione di un giovane che appartiene a una generazione variegata, quella dei tanti figli di genitori di origine straniera, figli nati in Italia, cresciuti in Italia.

Ragazzi italiani di fatto, giovani come altri, ai quali questa nazione, nel suo quotidiano, non vuole riconoscere piena cittadinanza. Vale a dire pienezza di diritti. A meno che non diano prova di essere degni. Perché a uno straniero si richiede sempre qualcosa in più. Deve essere impeccabile, pulito, senza alcuna macchia nella propria vita, deve parlare e scrivere correttamente in italiano, deve rigare dritto, deve avere un lavoro regolare, deve studiare. Meglio ancora se si rende protagonista di atti eroici. Se salvi i tuoi compagni dal pericolo di rimanere bruciati vivi dentro un autobus, magari ti viene assegnato il “premio” della cittadinanza. E potresti perfino riceverlo da quello stesso governo che ha votato contro lo Ius soli e che ogni giorno fomenta odio e sospetto verso chiunque abbia la pelle nera o professi la religione islamica.

Un governo che sulla cittadinanza mantiene posizioni arcaiche, non capendo che riconoscere, almeno a chi nasce e cresce qui, il diritto di essere italiano (e non solo di sentirsi tale) non può che portare a una crescita positiva della nazione. Invece ai figli dei migranti e ai migranti stessi chiediamo una rettitudine che agli italiani non è richiesta. Se sei cittadino italiano e commetti un reato anche grave, al massimo vai in galera. Punto. A volte accade perfino che, nonostante qualche condanna subita, tu possa ritrovarti in parlamento o al governo. Se sei cittadino italiano ma di origine straniera, invece, oltre alla galera magari arriva anche la proposta di un ministro che sui giornali chiede che ti tolgano la cittadinanza. Come se essa fosse qualcosa di flessibile, un abito che possono donarti o strapparti di dosso a seconda del comportamento.

Ma la cittadinanza non è questa, quantomeno non dovrebbe esserlo. Perché, se così fosse, questo Paese, che nella Costituzione ha l’obbligo dell’uguaglianza di ogni cittadino davanti alla legge, dovrebbe applicare tale principio a tutti. Ai mafiosi, agli stupratori (anche quando i carnefici indossano una divisa), a chi commette sequestro di persona o, ad esempio, a chi si è macchiato del reato di omicidio. Ogni volta bisognerebbe aggiungere alla pena giudiziaria anche quella della privazione della cittadinanza. Ecco perché è ridicolo, squallido, profondamente barbaro agire come sta agendo il solito ministro, il quale chiede che venga tolta la cittadinanza all’autista del bus, italiano ma di origine senegalese, proprio mentre, nelle stesse ore, invita in Senato, per l’approvazione della legge sulla legittima difesa, l’omicida italianissimo di un ladro disarmato. Una sorta di premio simbolico per aver sparato e ucciso.

D’altra parte, il ministro è lo stesso che difende i carabinieri accusati di stupro a Firenze o i carnefici di Cucchi e i professionisti del depistaggio. La verità è che la vicenda della cittadinanza a Ramy e Adam è imbarazzante. Il riconoscimento avvenuto mediaticamente puzza di propaganda, di concessione bonaria, come fosse un regalo inatteso che il padrone fa ai suoi sottoposti. Che continuerà ugualmente a considerare tali anche dopo aver dato loro un premio. Squallore puro, come i tanti discorsi e le analisi sulla vita del padre di Ramy e sui suoi presunti precedenti, individuati come un possibile ostacolo. Le presunte colpe dei padri che ricadono sui figli. Siamo al ridicolo. Si gioca con la Costituzione, con i diritti e con il buonsenso. Come sempre.

In Italia la dignità ha ormai perso valore, mentre l’odio ha sporcato una coscienza civile già fragile. In questo guazzabuglio tetro, risaltano due cose: il fatto che la cittadinanza sia ormai lasciata all’arbitrio dei potenti più rozzi e il fatto che i ragazzi, qualsiasi sia la loro origine familiare, rimangono l’unica speranza per insegnare ai potenti cosa vogliano dire solidarietà e dignità. Anche senza cittadinanza.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org