“Come on, Die young” recitava il titolo dell’album di Mogway nel 1999. All’epoca fu un titolo discusso, che suscitava scandalo e indignazione; dopotutto sono passati 22 anni. E tantissime cose sono cambiate in questo ventennio. La rivoluzione tecnologica ha stravolto la nostra vita e la nostra società, con concessioni alla cultura capitalistica. Sono passati 21 anni dal G8 di Genova, dai movimenti NoGlobal, dalle violenze che si sono scatenate alla richiesta di mettere un freno a tutto questo. Dalle morti, i soprusi, i blitz ai pacifisti. In quell’occasione muore Carlo Giuliani, 23 anni, ucciso da un carabiniere. O più esattamente da chi governava lo Stato italiano in quel momento.

Serena Mollicone, 18 anni, nel 2001 scompare e viene ritrovata in un bosco con mani e piedi legati e un sacchetto di plastica in testa. Dopo 17 anni dal decesso e ancora nessun colpevole, un carabiniere si suicida. Il corpo della ragazza viene riesumato e la seguente perizia dei Ris conferma l’omicidio in caserma. Nel 2005, Federico Aldrovandi, 18 anni, viene fermato da due pattuglie per stato di ubriachezza. Due manganelli rotti. Così come la sua vita.

Nel 2007, Aldo Bianzino viene portato in caserma da alcuni poliziotti per un paio di piante di cannabis e non ne uscirà vivo. “Aneurisma celebrale”, fu la prima dichiarazione da parte delle forze dell’ordine. Nel 2008, Niki Aprile Gatti, 26 anni, fu arrestato per frode informatica. Passa 4 giorni in isolamento. Viene ritrovato morto per “cause naturali”. Quello stesso anno Stefano Brunetti, 43 anni, viene arrestato per un tentativo di furto. Muore il giorno dopo in ospedale. Cause? Naturali. Nel 2009 Stefano Cucchi, 31 anni, viene portato in caserma per custodia cautelare per possesso di stupefacenti. Uscirà una settimana dopo, come cadavere martoriato, dal reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini. “Sono caduto dalle scale”, dichiara ai medici prima di morire. E l’elenco e ancora lungo e le leggi continuano a favorire gli insabbiamenti.

Con questa consapevolezza, oltre a mille altre, Paper Vandalism, progetto dell’artista siracusano Angelo Bramanti (leggi qui), ha risposto con “No Choice” alla call del Cheap Festival di Bologna, dove la sua voce è stata richiesta.

“Le Festival est mort, vive le festival!”. Il Cheap Festival nasce a Bologna nel 2012, durante il terremoto, dalla voglia di un gruppo di 4 ragazze che hanno riconosciuto nell’effimerità della carta il più potente mezzo di divulgazione e comunicazione per l’arte della contro-cultura contemporanea. Attraverso call per artisti emergenti, progetti sul territorio, incontri in spazi indipendenti, anno dopo anno hanno trasformato la città di Bologna in una “galleria delle denunce” a cielo aperto. I temi affrontati sono quelli che partono dal basso, dal disagio popolare, dai collettivi studenteschi e i “movimenti degli ultimi”, quegli ultimi che troppo spesso trovano voce solo quando non esistono più.

Cheap vuole dar voce alla rabbia, le ingiustizie, gli abusi di potere e la corruzione attraverso l’arte: poster per la precisione. Poster affissi sui muri della città, invadendo lo spazio urbano, modificandolo, rendendolo luogo di ascolto, di confronto, di presa di coscienza.
Lontani da quella concezione di “street art” contemporanea – dalla retorica della riqualificazione intesa come puro decoro urbano e non più come azione sovversiva -, Cheap festival cambia, muore, si evolve, si fluidifica. Parla quando ha qualcosa di importante da dire. Chiede quando ha bisogno di chiedere. Si confronta quando ha i mezzi per potersi confrontare.

“Paper Vandalism – No Choice a Bologna”. Da tutte queste premesse, “No Choice”, opera di Paper Vandalism, nei giorni scorsi viene mandata e affissa a Bologna su richiesta dello staff del Cheap. No Choice è un opera del 2021 composta da una vecchia foto di un avo dell’artista affissa su un Topolino, il cui volto dell’uomo in divisa militare è stata scavata con un taglierino. L’identità tolta dagli orrori della guerra, una guerra che spesso non hanno scelto e alla quale sono stati addestrati. Una cultura della sopraffazione, dove se si vuole vivere bisogna sopravvivere, dove l’unicità viene strappata, bucata, annientata in favore di etichette, dei target, dell’omologazione che ci vengono cuciti addosso e da cui non abbiamo scampo. E se non sei d’accordo muori. E il problema si risolve. L’intenzione del messaggio è forte e dissonante. Lo stesso artista dichiara: “All’inizio non volevo pubblicarla per la divisa militare, essendo io contro ogni forma di violenza. Poi ripensandoci per molti militari prima era un obbligo, non potevi scegliere”.

Dalla non scelta, dall’obbligo, si generano rabbia e frustrazione. I maschi italiani nati fino al 1895 che non dichiaravano di continuare gli studi, dopo la scuola dell’obbligo avevano la leva dell’obbligo. E tutto quest’obbligo sfocia in violenza. Solo dal 1°gennaio 2004 il Servizio Militare diventa volontario, dopo circa un secolo di obiezioni popolari. “Lo scavo sono i mostri che hanno visto queste persone. Ma in generale è anche un inno alla rivoluzione, che sarà violenta” La posizione di denuncia imparziale presa dall’artista e urlata da Cheap è un monito per ricordare che la cultura dell’orrore e della violenza, della lotta al diverso, dell’annientamento del fastidio, viene subita ancora oggi in quello che chiamano “Stato di Diritto”, ma che è a sua volta servo di un sistema che ci sta lentamente distruggendo mettendoci gli uni contro gli altri.

Al di là delle divise, al di là delle etichette, dei diversi e dei normali, degli omologati e dei no-global, dei comunisti, dei fascisti, da democratici e dei repubblicani, degli onnivori e dei vegani, etero, bi, omo, trans, fluid, attivisti e passivisti, boomer, millenial e gen-z, una società è composta da esseri umani, ognuno diverso, a suo modo unico, e nessuno deve sentirsi in possesso della facoltà di imporre un pensiero, manipolare, insultare, mortificare, ferire o addirittura uccidere un essere umano. Ed è bastato un solo poster per dire tutto questo.

Sarah Campisi -ilmegafono.org