A distanza di venticinque anni dall’atroce omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, la memoria e il ricordo di una vittima innocente di mafia non trovano ancora pace a causa di una bega burocratica che fa discutere. Era il 1996 quando Di Matteo, all’epoca soltanto 12enne, venne prima strangolato e poi sciolto nell’acido da alcuni esponenti di cosa nostra, al termine di una prigionia durata circa tre anni. Il tutto venne realizzato nel tentativo di evitare che il padre del ragazzino, Santino, ex mafioso e collaboratore di giustizia, decidesse di parlare e di mettere a repentaglio la stabilità del clan mafioso di San Giuseppe Jato, strettamente connesso ai corleonesi e al boss Totò Riina.

Oggi, ad uccidere nuovamente il piccolo Di Matteo (questa volta in maniera astratta) ci ha pensato la burocrazia. Lo scorso 30 luglio, presso la “Casa del Fanciullo” di S. Giuseppe Jato (attuale sede comunale), era stata svelata una statua di bronzo rappresentante il giovane con tanto di targa commemorativa. La statua, realizzata dall’artista corleonese Nicolò Governali, aveva l’obiettivo di non dimenticare il sacrificio di tutte quelle vittime che, proprio come Giuseppe, hanno dovuto pagare con la propria vita, senza avere colpa, per la presenza feroce della mafia.

Qualche giorno fa, però, una spiacevole sorpresa: dal momento che la statua in un edificio pubblico, a quanto pare, non ci potrebbe stare, si è deciso di coprirla con un lenzuolo bianco. Stando a quanto rivelato, a mancare sarebbe una delibera comunale che darebbe agli espositori tale permesso; pertanto la statua va rimossa, almeno fintantoché la stessa delibera non arrivi. Raggiunto da Repubblica, il commissario regionale Salvatore Graziano (all’epoca reggente del Comune sciolto per mafia e già da qualche settimana sostituito da tre commissari nazionali) ha ammesso di non essere “stato supportato bene dagli uffici comunali”, ma di aver “già parlato con i nuovi commissari”, i quali provvederanno a “fare tutti gli adempimenti” del caso, in modo da far sì che la statua torni al proprio posto quanto prima.

Ai microfoni di Repubblica ha parlato anche lo zio del giovane, Nunzio, che non ha mai seguito le orme del padre e, al contrario, si è sempre tenuto alla larga da certi ambienti. Secondo quanto affermato dallo zio di Di Matteo, nonostante Graziano avesse dato il via libera all’installazione, lo stesso lo avrebbe chiamato nei giorni scorsi per dire che bisognava toglierla, ma lo zio del piccolo Giuseppe ha ribadito la sua intenzione di non averne “alcuna intenzione: quella statua resta lì”.

Quella che sembra la trama di una commedia all’italiana è, purtroppo, la realtà dei nostri giorni. In una terra che combatte da decenni contro le mafie, che porta la cultura della legalità nelle scuole, che è avanguardia antimafiosa di questo Paese, la memoria viene considerata meno importante di un cavillo burocratico.

D’altronde, le pagine di Sciascia ci ricordano l’incredibilità del paradosso alla siciliana (leggasi Il giorno della civetta). Così come tante volte lo stesso concetto è stato sottolineato da Camilleri in diversi suoi romanzi. Fa male vedere come ancora in certi angoli di Sicilia, dove la mafia non ha mai smesso di sporcare ogni cosa, se è vero che San Giuseppe Jato si è visto sciogliere il Comune per infiltrazioni mafiose, si ripetono errori e orrori che, come in questo caso, spesso trovano appiglio nella burocrazia, nella mancanza di buonsenso, sempre supponendo che si tratti davvero solo di questo.

Per fortuna, la risposta dei tre commissari nazionali non si è fatta attendere e, proprio qualche giorno fa, è stato rilasciato un comunicato nel quale si legge che “la Commissione Straordinaria del Comune di San Giuseppe Jato comunica di avere in corso la ricognizione di tutte le criticità che interessano l’Ente locale, tra le quali rientra, a pieno titolo, la formalizzazione della donazione del monumento commemorativo”.

“A seguito della stessa – continua il comunicato – sarà cura della Commissione Straordinaria provvedere al più presto a individuare un idoneo sito che dia il dovuto risalto ad una vittima innocente, a perenne ricordo dell’efferatezza della violenza della criminalità organizzata”. Dal canto nostro, speriamo vivamente che la statua torni a essere ammirata, magari ricordando a chi ha deciso di coprirla la propria incapacità ed inadeguatezza. E forse anche un pizzico di vigliaccheria.

Giovanni Dato -ilmegafono.org