Dal traghetto scende un fiume di persone. Dalla spiaggia nera di Stromboli si vede, sullo sfondo delle prime case bianche del paese, una processione continua di cappellini, cellulari, occhiali da sole. Arrivano in molti di pomeriggio per godere dello spettacolo delle eruzioni notturne. Arrivano dalla Calabria, dalla Campania e dalle altre isole Eolie. In una denuncia di Legambiente di qualche anno fa si parlava di 27 traghetti al giorno che fanno sbarcare sull’isola circa 10.000 persone (clicca qui). I numeri sono impressionanti, se si considera che si tratta di un territorio di 12 km quadrati, con in mezzo un cono vulcanico di oltre 900 metri. Per non parlare del rischio di un numero elevato di turisti accanto a un vulcano attivo. Cosa succederebbe in caso di una eruzione violenta?

Il tema del sovraffollamento di alcuni luoghi d’arte, di cultura e di bellezze naturalistiche comincia ad affacciarsi concretamente nel nostro Paese o almeno si inizia ad averne consapevolezza. Già da qualche anno, nel mondo, si denuncia che molti siti sono messi in serio pericolo dalla pressione turistica: Monte Everest, Machu Picchu, il Taj Mahal, per citarne alcuni.

L’esperienza ferragostana di molti di noi può confermare il numero esagerato di persone in alcune località. Gallipoli, ad esempio, possiamo dire che è stata la regina del turismo giovanile negli ultimi anni. Un boom incredibile che ha investito questa cittadina sull’onda della riscoperta della Puglia e del Salento in particolare. Questa estate si è ritrovata con Parco Gondar (la più grande arena del sud Italia) sotto sequestro, il famoso Samsara (un lido inventatosi discoteca) con la licenza revocata, la discoteca Cave non più agibile.

Per le prime due almeno, le accuse riguardano l’allargamento delle attività ben oltre le licenze e i limiti consentiti. Un segnale evidente (non una prova di colpevolezza) di come l’esplosione di certi luoghi di aggregazione crei discreti problemi. Sempre in Puglia, questa estate, anche la stupenda e celeberrima Grotta della Poesia, nei pressi di Melendugno (Lecce), una delle più belle piscine naturali, è stata chiusa per l’eccessivo afflusso di turisti.

Spostandoci al nord, l’esempio di Venezia è lampante. Nei suoi vicoli, spesso, non si riesce neppure a camminare. Già nel 2017 il New York Times ci metteva in guardia: Venezia rischia di essere una Disneyland sul mare. Solo rumore di trolley, bivacchi improvvisati per strada e nessun autoctono. Per non parlare di Firenze. Nel centro storico, vicino al Duomo, un noto locale di street food (peraltro apprezzatissimo e delizioso) sta diventando un problema per la città. Centinaia di persone ogni giorno vi si rifocillano. Ma se il format, di per sé, è carino e molto intelligente (un panino e un bicchiere di vino per strada), la folla sconclusionata che lo assale lo trasforma in un incubo per i cittadini e le strade diventano una pattumiera.

Ma la folla non è il solo problema dell’over-tourism anche nel nostro Paese. Il turismo di massa e deregolamentato porta con sé diverse problematiche anche sociali. Nessuno abita più in centro, meglio affittare a breve termine (ed è più redditizio) con i provider di questi servizi tipo airbnb, come denunciava la rivista Left sul finire del 2017. La crescita degli annunci pubblicati sul famoso sito è esorbitante: da 8 mila a oltre 350 mila in 6 anni. Le città diventano, proprio nei loro centri storici, dei non luoghi. Delle vetrine.

Per la nostra cultura ancestrale la piazza e la via principale sono luoghi rinomati perché luoghi di aggregazione, dove ci si incontra e per questo qui si concentrano locali e servizi. Eppure, se a nessuno interessano i servizi ma soltanto i locali per un panino al volo tra un museo e l’altro, diventa difficile preservarne l’unicità. Vi sfido a consigliarmi un ottimo ristorante e un ottimo bar nella piazza principale o nel corso principale di una di queste città: Milano, Roma, Napoli, Firenze.

Il problema è molto più concreto di quanto possa sembrare. Sarebbe per esempio interessante verificare il tasso di occupazione delle strutture alberghiere. Il sospetto è che, una volta organizzate per gestire i picchi, appena dopo agosto e appena prima di agosto le strutture siano decisamente troppe. Ne consegue un consumo di territorio notevole, la moltiplicazione inutile dell’inquinamento per esempio luminoso e anche la sicurezza dei luoghi una volta che vengono abbandonati a se stessi. Basta una passeggiata invernale in un qualsiasi comune del nostro litorale. Troverete quartieri di seconde case vuoti, a respirare salmastro.

Si tratta di problemi strutturali e non contingenti. Le piccole isole, ma anche i centri storici, rischiano di diventare dei giganteschi parchi giochi o parchi tematici. Ai piani alti uffici chiusi la sera, ai piani bassi caffetterie di dubbio gusto e qualità, paninerie e locali di dubbia cucina italiana e/o locale. La risposta quale potrebbe essere? Come spesso accade forse ce l’abbiamo direttamente in casa. Il nostro territorio va promosso nel suo complesso, senza campanilismi. Potrebbero così emergere le migliaia di siti davvero stupendi che costellano lo Stivale anche per sgravare della pressione turistica quelli più gettonati (non necessariamente più belli). Di più: un Paese ad altissima intensità turistica come il nostro dovrebbe pensare ad allargare la stagionalità prevedendo, per esempio, ferie più distribuite non solo nell’anno ma anche nei periodi estivi.

A livello locale l’attenzione e il dibattito sono sempre stati dedicati alla volontà di richiamare persone, sempre e comunque, purché in gran numero. Nei dati si parla solo del numero di presenze. Eppure non si cerca mai di veicolare, programmare, organizzare questo flusso. Certe cittadine sestuplicano il numero degli abitanti, per non parlare delle isole. Abbiamo sempre presentato il turismo come la panacea di tutti i mali eppure sembra crearne di nuovi. L’utopia (o provocazione) di qualche tempo fa dell’economista Zingales, che voleva gli italiani a fare gli operatori turistici d’Europa, si scontra con la realtà. Bisognerebbe ricominciare a produrre e a creare servizi nei territori, non solo 4 mesi per ogni anno.

Penna Bianca -ilmegafono.org