Tredici mesi. Trecentonovantacinque giorni. E chissà quanti ancora. Questo è il tempo di vita finora sottratto a una donna costretta in carcere per ragioni ideologiche e politiche. Una donna che rischia una pena spropositata, con un’accusa risibile e chiaramente falsa. L’accusa di avere partecipato a un’aggressione nei confronti di neonazisti che celebravano uno dei tanti orrori della loro storia. Sarebbero due i neonazisti colpiti, peraltro feriti in modo lieve. Un reato non dimostrabile, per il quale non esistono prove, che però, per l’assurda forma di giustizia di un Paese europeo che ha perso la memoria, vale almeno 11 anni di carcere (tanti ne sono stati richiesti, ma il massimo della pena arriva perfino a 24). Lei è Ilaria Salis, insegnante e attivista brianzola, antifascista. Quest’ultima parola, in questa vicenda, va sottolineata perché assume tutto il suo peso, tutte quelle connotazioni che tanto fanno paura agli ignavi e agli oscurantisti che governano buona parte delle democrazie mondiali.

Soprattutto fa paura a Orbàn, il presidente autoritario dell’Ungheria, e ai suoi amici italiani sovranisti o eredi di un fascismo mai rinnegato, che oggi guidano il governo del nostro Paese. Ilaria Salis è antifascista, è colta, è laureata in Storia, non si rassegna a questa idea di mondo che il nuovo millennio ha vomitato sul nostro presente e sulla quale vorrebbe fondare il nostro futuro. Un futuro con il passo di un gambero, che corre sempre più veloce verso il baratro del passato. Ilaria Salis fa paura perché è diventata un simbolo e mette a nudo le ipocrisie di Giorgia Meloni e della sua accolita grottesca e imbarazzante di alleati, colleghi di partito, parenti e lacchè. La premier italiana, quella che tanto sbraitava per i marò, due militari accusati di omicidio, tace e fa spallucce davanti a una cittadina italiana che, in maniera del tutto evidente, è vittima di una feroce ingiustizia e di una vendetta politica.

Proprio così, perché quella di Orbàn e della “sua” magistratura è un’azione mirata, strategica, che ha un duplice obiettivo: in primis, mostrare agli oppositori e agli antifascisti di ogni dove, ungheresi o di altra provenienza, che anche da innocenti incontreranno il pugno duro della repressione, per il solo fatto di avere idee opposte al regime; in secondo luogo, mostrare all’Europa, e in questo caso, all’Italia, di essere forte, muscolare, indipendente politicamente, immune a qualsiasi tentativo diplomatico. Il punto però è proprio questo: quale tentativo diplomatico? Nessuno, perché il nostro governo non ha mai alzato la voce come avrebbe fatto se al posto di Ilaria ci fosse stato un cittadino con altre idee politiche o magari scevro da qualsiasi credo.

Ilaria Salis, infatti, è colpevole di essere di segno opposto, di essere donna, antifascista, attivista, tre caratteristiche che non sono viste di buon occhio dalla premier, colei che si fa chiamare con l’articolo al maschile, colei che non riesce a prendere le distanze, nemmeno a parole, dal fascismo e da quei gruppi di nostalgici che macchiano l’Italia e l’Europa con le loro orrende e ridicole celebrazioni di piazza. Lei, la premier che disprezza il dissenso e che, alla fine, non è nemmeno coerente con quel concetto di patriottismo tanto sbandierato quando era all’opposizione e quando andava sui palchi sovranisti di mezza Europa a sciorinare auto-definizioni non richieste. Come ci si può definire patrioti o esaltare il concetto di patria se poi si resta inermi davanti a una cittadina italiana portata in un’aula di tribunale in catene e con un guinzaglio sul collo? Dove si nasconde la fierezza dell’italianità? Dov’è finito l’ardore sovranista?

La verità è che il patriottismo per i fascisti e per i loro eredi è stato sempre una grande bugia, una bolla di sapone scoppiata in un secondo non appena c’era davvero da difendere il bene comune e la vita degli italiani. Dal fascismo agli anni del terrorismo nero, dalle campagne belliche disastrose, che hanno condannato a morte migliaia e migliaia di soldati, alle bombe nelle piazze, nei treni, nelle banche. Questo è stato il fascismo nella sua essenza. Niente altro che questo. Pertanto, farebbe meglio, Giorgia Meloni, che nella sua vita ha finora scelto la strada della politica e della democrazia, a prendere una volta per tutte le distanze da tutto ciò che quella storia ha tragicamente rappresentato per il nostro Paese. Forse la aiuterebbe a governare senza sentimenti infantili di vendetta, risolvendo quel complesso di inferiorità che sta portando il suo governo a scelte folli e scriteriate in molti ambiti. Forse la aiuterebbe anche a capire che quando sei premier rappresenti tutti, anche i tuoi avversari, e magari allora le verrebbe più facile alzare la voce con quell’Orbàn al cospetto del quale lei e i suoi alleati si sono inchinati troppo spesso.

Forse potrebbe regalare a se stessa e al suo governo un afflato di dignità, un briciolo di spessore politico e umano. E apparire meno minuscola di quel Capo dello Stato che, sulla vicenda di Ilaria Salis, così come su altre, giganteggia, rendendo sempre più evidente la differenza tra chi ha senso dello Stato e un approccio istituzionale volto a rappresentare degnamente i valori della Costituzione e chi invece non ha nulla di tutto ciò e vive la Costituzione con allergico fastidio. Ilaria Salis e la sua famiglia hanno ricevuto dal presidente Sergio Mattarella vicinanza e sostegno, mentre il governo finora ha offerto o indifferenza o perfino l’oltraggioso astio di alcuni suoi esponenti, Salvini su tutti. Ilaria Salis, infatti, non solo non è stata aiutata a difendersi da una ingiustizia palese e dai trattamenti disumani che ha subito e subisce, ma è stata anche colpevolizzata e insultata.

Le parole di Mattarella, allora, sono uno schiaffo al governo, alla premier e anche a quella stampa di regime che non riesce in alcun caso, nemmeno in una vicenda come questa, a staccare la lingua dal piede del padrone di turno. E di fatto sono uno schiaffo anche al finto moderatismo di Tajani, che si affretta a chiedere di “non politicizzare” la vicenda di Ilaria Salis. Arriva sempre tardi Tajani, il cui acume è stato troppo sopravvalutato ultimamente. Non sa o non capisce che il caso è politico sin dall’inizio, sin dall’arresto di Ilaria, sbattuta in carcere senza prove e senza garanzie, lasciata marcire in una cella in condizioni disumane, non in una prigione di un regime in Sud America o in Africa, ma nel cuore della “civile” e “democratica” Europa, senza che qualcuno, nel nostro Paese, nelle sue istituzioni, si occupasse di lei e della sua situazione. Il caso è politico e oggi lo è ancora di più, perché Orbàn, consapevole della debolezza del governo Meloni, lo sta usando proprio per far notare il suo peso.

Le immagini di Ilaria nuovamente in catene e al guinzaglio, il rifiuto dei domiciliari, sono la sfacciata esibizione di un potere che manda messaggi chiari dentro e fuori dall’Ungheria. Sono un pezzo del marketing dell’orrore che Orbàn e altri leader sovranisti utilizzano per consolidare il proprio consenso presso certi ambienti e presso le fasce popolari. Se qualcuno pensa che questo non sia politico o finge ed è complice oppure è inadeguato a rappresentare una qualsiasi istituzione. E il presidente Mattarella, con le sue parole, profondamente politiche, lo ha sottolineato. Con buona pace della silente Meloni, dei suoi sostenitori e di chi sta giocando con la vita di una ragazza che uno Stato serio e democraticamente maturo avrebbe il dovere prioritario di difendere e tutelare. Ma noi siamo l’Italia. Quella di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, quella dei Lollobrigida, dei Sangiuliano e dei La Russa. Potevamo davvero aspettarci qualcosa di diverso da una squadra politica e di governo che somiglia più a una confraternita di clown incapaci e caduti in disgrazia? 

Massimiliano Perna -ilmegafono.org