Il presunto impegno volontario di alcune multinazionali per la riduzione della plastica monouso è del tutto inefficace. Lo dimostra l’ultimo rapporto “Branded”, diffuso una decina di giorni fa dalla coalizione internazionale “Break Free From Plastic”, di cui fanno parte circa duemila organizzazioni, tra cui Greenpeace. Secondo il rapporto, infatti, la plastica monouso dei marchi Coca-Cola, Pepsi e Nestlè è la più frequente tra i rifiuti in plastica dispersi in natura che è stato possibile raccogliere e catalogare negli ultimi cinque anni. “A partire dal 2018 – scrive Greenpeace Italia – oltre 200 mila volontari in 87 Paesi hanno raccolto rifiuti plastici dispersi nell’ambiente, identificando le aziende a cui sono riconducibili. In tutti e cinque gli anni, gli imballaggi di Coca-Cola sono risultati essere in quantità maggiore rispetto alla somma del packaging riconducibile ai marchi classificati al secondo e al terzo posto della classifica”.

Nel 2022 la quantità di prodotti del marchio Coca-Cola (oltre 31 mila) è raddoppiata rispetto a quella raccolta nel 2018. Un dato che, però, non ha impedito alla multinazionale con sede negli USA di essere scelta come sponsor della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27), il vertice mondiale dedicato all’emergenza climatica svoltosi a Sharm El-Sheikh, in Egitto. Un nuovo ed eclatante caso di greenwashing, come denunciato da Greenpeace. Nel 2018, la Ellen MacArthur Foundation e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente avevano lanciato il New Plastics Economy Global Commitment, un programma contro l’inquinamento da plastica, che prevedeva una serie di impegni volontari delle grandi multinazionali che basano il loro business sull’impiego massiccio di imballaggi monouso. Un programma che però è fallito, visto che questi impegni volontari non hanno avuto alcun effetto importante sulla riduzione della produzione di plastica.

Come ha rivelato il Global Commitment Progress Report di quest’anno, infatti, gli obiettivi previsti per il 2025 “quasi sicuramente” non saranno raggiunti. Anzi, molte di queste aziende hanno aumentato l’uso di imballaggi in plastica, rispetto a quando hanno aderito al programma Global Commitment. Alla luce di questo ennesimo fallimento delle grandi aziende, Greenpeace ha lanciato una petizione “per chiedere ai leader internazionali un trattato globale sulla plastica, legalmente vincolante e con interventi sull’intero ciclo di vita di questo materiale, per azzerare l’inquinamento che ne deriva, inclusi gli impatti climatici legati alle emissioni di gas serra durante la sua produzione”.

Secondo l’organizzazione ambientalista, invece di favorire il greenwashing di aziende come ad esempio Coca-Cola, tutti i governi “devono spingere le multinazionali a investire nelle vere soluzioni, come la ricarica e il riutilizzo degli imballaggi, che permettano di ridurre la nostra dipendenza dal monouso in plastica”. “Si tratta di uno dei principali cambiamenti sistemici – conclude Greenpeace – da attuare con urgenza per mitigare non solo l’inquinamento da plastica, ma anche la crisi climatica. I governi, incluso quello italiano, anziché focalizzarsi sul riciclo come unica soluzione, devono affrontare il problema nella loro interezza già a partire dal prossimo incontro internazionale sul trattato globale sulla plastica, in programma a fine novembre in Uruguay”.

Redazione -ilmegafono.org